E se scoppia una centrale nucleare al confine con l’Italia? Ecco il piano del Governo

ROMA -Le centrali non ci sono e non si sa neppure se ci saranno. Anche perché quanto sta accadendo in Giappone sembra indubbiamente complicare, al di là delle dichiarazioni più o meno di circostanza, il piano per il nucleare in Italia. Quello che già esiste, però, è il piano di emergenza in caso di incidente. Per ora serve in caso di crisi fuori ma vicino, in un raggio di 200 km,  ai confini nazionali. Chissà che non si stia pensando di estenderlo anche alle nostre possibili centrali del futuro.

Si tratta di una serie di misure a tutela della salute dei cittadini, informazioni chiare e dettagliate sui rischi e sui comportamenti da tenere in caso di incidente nucleare, individuazione immediata degli interventi da disporre a livello nazionale per ridurre gli effetti della nube radioattiva su ambiente e popolazione. E’  il ‘Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche’ messo a punto dal governo italiano per far fronte ad un eventuale incidente in uno dei 13 impianti nucleari vicini al nostro confine settentrionale.

Un piano, lo ha definito il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, ”adeguato, che consente di rispondere a questo tipo di rischi” e che si basa sul sistema di Protezione Civile, cui spetterebbe gestire l’emergenza, e sulla rete di monitoraggio dell’Ispra, cui invece è assegnato il compito di verificate costantemente la quantità di radiazioni nell’aria. Le misure furono predisposte subito dopo il disastro di Cernobyl, nel 1987, e adeguate nel 2010 – nonostante l’assenza di centrali sul nostro territorio – ipotizzando ”situazioni più degradate” rispetto a quelle simulate negli anni passati. Per mettere a punto il Piano, gli esperti hanno ipotizzato un incidente nucleare in una delle due centrali più vicine all’Italia, ad una distanza di circa 200 km: quella di Krsko in Slovenia e quella di St. Alban in Francia.

Lo scenario peggiore si realizzerebbe con la concomitanza di tre fattori: un evento ”severo” – dunque classificabile come livello 6/7 della scala Ines dell’Aiea (quello in corso alla centrale di Fukushima è considerato di livello 5) – condizioni meteorologiche sfavorevoli, con venti che spingono la nube radioattiva sull’Italia, rottura del guscio di contenimento in cemento armato che avvolge il contenitore del combustile.

”La scelta delle due centrali ai fini delle stime condotte – si legge nel piano – deriva principalmente dalla loro vicinanza al territorio italiano e da considerazioni relative ad altri fattori rilevanti, quali la configurazione orografica e la direzione di venti dominanti”. Alla luce delle simulazioni, un incidente nella centrale in Slovenia interesserebbe tutta la popolazione del nord est e di parte dell’Emilia Romagna; se, invece, il problema dovesse verificarsi nell’impianto francese, sarebbero coinvolti i cittadini del nord ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e parte della Lombardia).

In ogni caso, si sottolinea nel Piano, ”i risultati delle stime di dose effettuate fanno ritenere che l’eventuale adozione di misure protettive di riparo al chiuso e di somministrazione di iodio stabile, permetterebbe di evitare conseguenze sanitarie significative sulla popolazione”. L’attivazione del Piano di emergenza spetta al Dipartimento della Protezione Civile, che convoca il Centro elaborazione e valutazione dati (Cevad) che ha sede all’Ispra ed è composto da esperti dell’Istituto, dei vigili del fuoco, dell’Istituto superiore di Sanità, dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del Lavoro e dal servizio meteo dell’Aeronautica. Il loro compito e’ di valutare l’entita’ dell’incidente e la sua evoluzione, e stimare il presumibile impatto sulla popolazione e sull’ambiente.

Fatte le valutazioni si attiva il sistema di Protezione Civile per mettere in atto le misure operative, calibrate in base al livello di radiazioni presenti nell’aria. A fornire le informazioni piu’ importanti e’ il sistema di monitoraggio dell’Ispra, composto da due reti: la Remrad e la Gamma. La prima è dotata di sette stazioni automatiche di pronto allarme – sono a Bric della Croce (To), Capo Caccia (SS), Monte Cimone (To), Monte S. Angelo (Fg), Cozzo Spadaro (Sr), Sgonico (Ts) e Roma – mentre la Gamma conta su 64 rivelatori posti in siti del Corpo Forestale e delle Regioni. A queste si aggiungono le 1.200 stazioni dei vigili del fuoco, nate negli anni sessanta per scopi di difesa civile. ”Abbiamo un sistema di monitoraggio – dice Gabrielli – estremamente puntuale”.

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Emiliano Condò