L’India affossa Copenaghen: “Nessun vincolo alle riduzioni di Co2”

A sette giorni dalla maratona di Copenaghen sul clima l’India è pronta a far affossare la conferenza se verranno posti vincoli temporali alle riduzioni di Co2.

Nella mattinata del 1 dicembre era trapelata la bozza del raggiungimento di un accordo messa a punto dai padroni di casa: emissioni serra globali dimezzate rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050; 80%  del taglio a carico dei paesi industrializzati; picco d’inquinamento entro il 2020 e poi la diminuzione in modo da evitare che l’aumento di temperatura superi i 2 gradi nell’arco del secolo, soglia oltre la quale il danno viene considerato catastrofico.

Per evitare la catastrofe e per aggirare la sfasatura temporale che rischia di far fallire il summit, la presidenza danese aveva proposto la soluzione: gli Stati Uniti di Obama, dopo 8 anni di isolazionismo ambientale, vogliono rientrare in gioco, ma hanno bisogno di qualche mese per far passare una legge nazionale coerente con questo obiettivo. Di qui l’idea di raggiungere un’intesa che preveda tagli obbligatori per ogni paese al 2020 rendendola però legalmente vincolante solo il prossimo anno.

A questa mediazione raggiunta New Delhi ha posto quattro condizioni difficilmente conciliabili che rischiano di far saltare l’impostazione europea sul clima e le richieste dei climatologi. Ecco i quattro punti:

Primo: nessun vincolo sulla riduzione delle emissioni serra che, a differenza di quello che avviene nei paesi tecnologicamente più avanzati, nei paesi recentemente industrializzati sono ancora legate alla crescita del Pil. Secondo: nessun controllo internazionale senza aiuti economici. Terzo: nessuna data per il picco delle emissioni che alterano il clima. Quarto: niente barriere economiche sulle merci ad alto impatto climatico prodotte nei paesi in via di sviluppo.

«Se la bozza danese contiene indicazioni temporali il vertice sarà un fallimento» ha detto il ministro dell’Ambiente indiano, Jarain Ramesh, aggiungendo che su questa posizione convergeranno le delegazioni di Cina, Sud Africa e Brasile anche se in realtà si tratta di quattro economie emergenti che hanno interessi differenti.

La solidità del cartello del no resta tutta da essere provata: la Cina punta a conquistare la leadership delle fonti rinnovabili e ha annunciato aumenti di efficienza energetica dell’ordine del 40%, ha una struttura industriale concentrata e ha bisogno di un ulteriore salto tecnologico per restare competitiva anche in vista di una possibile rivalutazione dello yuan nei confronti del dollaro.

Il Brasile ha deciso di ridurre drasticamente la deforestazione dell’Amazzonia aprendo la porta a un possibile taglio della CO2 vicino al 40% al 2020.

Il Sudafrica è al quattordicesimo posto per le emissioni di carbonio, ma rischia di pagare un prezzo altissimo in caso di un cambiamento climatico violento.

Molto dipenderà dai fondi che i paesi industrializzati sono disposti a mettere sul tappeto a favore dei paesi in via di sviluppo: questi ultimi chiedono 400 miliardi di dollari l’anno per agevolare l’export delle tecnologie a basso impatto ambientale. Ivo de Boer, che guiderà la conferenza di Copenaghen, ha calcolato in 10 – 12 miliardi di dollari l’anno l’importo necessario per il cosiddetto quick start, l’avvio rapido di cui hanno bisogno i paesi industrialmente più arretrati per agganciarsi al treno dello sviluppo a basso impatto ambientale. Con la confrenza vedremo quanto i paesi emergenti riusciranno ad avere e di conseguenza vedremo come si comporteranno.

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Lorenzo Briotti