Un piccolo aiuto per combattere le conseguenze nefaste della marea nera potrebbe venire da alcune nuove specie di batteri “mangia-petrolio”. Le nuove specie, infatti, starebbero ”banchettando” e consumando “con voracita” il ‘pennacchio’ di petrolio che si è formato a causa del flusso di greggio fuoriuscito dal pozzo della BP nelle acque del Golfo del Messico.
I batteri, secondo uno studio che sarà pubblicato in settimana sulla rivista Science, avrebbero degradato petrolio a ritmi più sostenuti dei normali batteri mangia-petrolio finora noti e per di più senza consumare ossigeno, quindi salvaguardando le altre specie viventi. I risultati della ricerca sono stati anticipati dagli scienziati che l’anno condotto nel corso del meeting della International Society for Microbial Ecology, i ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory.
Diretti da Terry Hazen, gli studiosi hanno lavorato con due navi dal 25 maggio al 2 giugno e raccolto 200 campioni da 17 siti, per poi esaminarli con le più moderne strumentazioni per l’analisi del Dna. E’ emerso che la colonna di greggio del Golfo è stata mangiata a ritmi mai visti da una serie di batteri degradatori di idrocarburi con l’avanguardia di alcune specie finora ignote che hanno fatto la gran parte del lavoro, somiglianti, spiegano gli esperti, a membri della famiglia ‘Oceanospirillales’.
Si tratta cioè di batteri abituati a vivere in condizioni estreme di temperatura e pressione. Secondo i biologi questi batteri sono divenuti così efficienti nel mangiare il petrolio adattandosi nel lungo periodo a ‘mangiucchiare’ idrocarburi naturalmente fuoriusciti attraverso crepe naturali del fondale. Nel loro lavoro di degradatori di greggio, spiegano i ricercatori, i batteri sono probabilmente stati avvantaggiati dagli effetti dello spargimento di una sostanza per ripulire le acque dal greggio che ha ridotto il petrolio in goccioline, facilitando loro il lavoro.
”I risultati mostrano che questi batteri giocano un ruolo significativo nel controllare il destino ultimo della macchia di petrolio dispersa nelle acque”, concludono i ricercatori. Non tutti, però, concordano con le teorie dell’equipe di Hazen. Sulla questione, infatti, è in corso una vera e propria guerra tra esperti. Al centro del contendere c’è la questione della diluizione del petrolio in acqua e di quanto ossigeno rimarrà nelle aree contaminate. Si tratta, ovviamente, di un problema cruciale per l’ecosistema: sotto un certo livello di ossigeno in acqua, infatti, sopravvivono solo le meduse, con conseguenze facilmente immaginabili per chi nel Golfo vive e pesca.