Melendugno, bloccato il gasdotto Tap. Nimby colpisce ancora

Gli 870 km del Tap transiteranno per Turchia, Grecia, Albania, per poi inabissarsi nel mare Adriatico e sbucare sulle coste italiane

LECCE – E dopo i No Tav, vennero i No Tap: quelli contrari al gasdotto Trans Adriatic Pipeline che dovrebbe portare il gas dell’Azerbaijan sulle coste italiane entro il 2019, consentendoci di affrancarci da quello russo di Gazprom che transita dall’Ucraina. Il progetto, a soli tre mesi dalla firma dell’investimento, si è già arenato tra ritardi e pareri contrapposti. E’ il solito effetto nimby, “not in my backyard”, che vuol dire non nel mio giardino, o nella fattispecie “not in my beach” (spiaggia). Un atteggiamento duro a morire in Italia, ma ancor di più nella Puglia di Nichi Vendola che lo porta scritto fin nel nome, Sinistra ecologia e libertà.

Il gasdotto, secondo il progetto, dovrebbe approdare nella marina di San Foca, comune di Melendugno. Ma i salentini, trincerati dietro la bandiera dell’ecologia, sono determinati a difendere la loro spiaggia. Nell’ordine si sono espressi l’Arpa Puglia, che ha dato parere positivo e il Comitato regionale per la valutazione dell’impatto ambientale, che si è invece detto contrario. L’ultima parola spetta al Comitato nazionale, ma il primo cittadino di Melendugno, Marco Potì, ha già minacciato il ricorso alle autorità giudiziarie e ha chiesto l’accesso agli atti di Regione e Soprintendenza.

Sono in tutto 8,2 i chilometri di gasdotto che dovrebbero sbucare sulle coste italiane, sugli 870 totali che transiteranno per Turchia, Grecia, Albania e infine si inabisseranno nel mare Adriatico. Certo è che non si potrà esitare a lungo nell’incertezza. Giampaolo Russo, country manager di Tap, lo ha detto chiaramente:

“La realizzazione non è in dubbio ma è necessaria una presa di responsabilità da parte del governo italiano, non possiamo restare ostaggio dell’incertezza ancora troppo a lungo. Ci siamo sempre resi disponibili a valutare altri approdi. Anche se nel caso di Melendugno non esistono ostacoli ambientali o paesaggistici particolari”.

Affermazione che, per quanto opinabile, evidenzia un ritardo nell’iter autorizzativo che rischia di impaludarsi in un ping pong di ricorsi e carte bollate. E gli azeri, indispettiti, potrebbero decidere di portare i propri tubi altrove.

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Daniela Lauria