ROMA – Brutte notizie per i cambiamenti climatici e per il riscaldamento terrestre giungono dal grande nord dei ghiacci perenni (anche la zona dell’Antartide è interessata). Che perenni non sono più a causa delle emissioni di gas serra: trattengono di più la luce del sole, la terra si scalda e le distese gelate iniziano muoversi, provocando nuove emissioni di metano dai depositi e detriti animali e vegetali non più trattenuti dall’ibernazione glaciale. Milioni di piccole esplosioni, bolle floreali sulla superficie dei ghiacci, pennacchi di fumo e puff a catena lungo tutta la distesa del “permafrost”, sono visibili a occhio nudo: uno spettacolo naturale in cui sembra che nelle profondità gelate sia acceso un pentolone in continua ebollizione.
In realtà è il risultato dell’accumulo di piante, animali raccolti dai fiumi e dalle tempeste di vento e conservati in un palinsesto compatto che l’azione dei batteri sta trasformando in una pericolosa, per l’ambiente, nuova fonte di emissione dei gas serra. Piante che non vedono la luce da almeno trentamila anni, in termini geologici abbastanza giovani. Un circolo vizioso: se non si arresta il processo di combustione di carbone, le fratture di permafrost saranno sempre più estese, liberando enormi quantità di metano. Per ora la stima è del 15% di metano prodotto dal permafrost rispetto al totale annuo di diossido di carbonio presente nell’atmosfera. Ma se la curva di emissioni non dovesse scendere la quota del 35% sarebbe più pertinente come stima.
