Per salvare gli Stati Uniti dalla catastrofe ambientale della marea nera che dilaga nel golfo del Messico potrebbe essere necessario causare un’esplosione nucleare. Lo scrive il sito russo Kp, precisando che l’Unione Sovietica, in passato, avrebbe agito in modo analogo in almeno cinque circostanze.
La prima esplosione nucleare “pilotata” sotterranea è stata usata per spegnere i pozzi a gas in “Urt-Bulak (80 km da Bukhara, in Uzbekistan) il 30 settembre 1966. In quella circostanza venne usata una carica di energia di circa 30 chilotoni ovvero una volta e mezzo la potenza della bomba che rase al suolo la città giapponese di Hiroshima.
A Bukhara, però, la testata nucleare è stata fatta esplodere ad una profondità di circa sei chilometri. L’idea, sulla carta è semplice: un’esplosione sotterranea spinge le rocce e chiude così le falle da cui sta fuoriuscendo il greggio. I rischi di un’azione simile, però, sono di difficile quantificazione.
Secondo il giornale russo, però, le probabilità di un “fallimento totale” dell’operazione sono attorno al 20% e quindi “è molto più rischioso per un astronauta morire in una spedizione verso la Luna”.
All’Urss una volta andò male. Era il 1972 e si tentò di fermare una fuga di gas da un pozzo con una piccola testata nucleare, di appena 4 kiloton. Qualcosa, però, non funzionò per il verso giusto e si produsse un enorme fungo in superficie senza riuscire a fermare la fuga.
Fantascienza o probabilità reale che sia l’idea dell’esplosione nucleare pilotata rimane una soluzione estrema e si spera che per fermare la “marea nera” gli statunitensi trovino una soluzione meno rischiosa.