ROMA – Perché tre persone in grado di intendere parlano come fossero ostaggi che recitano un testo improbabile e a tratti decisamente onirico? Perché non sono in grado di volere, come appunto capita agli ostaggi portati dai sequestratori davanti a una telecamera. Perché Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini, tre persone intelligenti ed esperte a prescindere dal giudizio sulla rispettiva azione politica, si siedono davanti alla “telecamera” e recitano l’improbabile e onirica canzone della “politica che andrebbe in mano alle lobby, centri di potere e interessi particolari se fosse abolito il finanziamento pubblico dei partiti”? Perché mischiano e imbrogliano le carte e le parole, gridano allo “errore drammatico” della “abolizione” totale quando vien loro richiesto, dal buon senso politico e non dall’antipolitica, di prendere solo un po’ di soldi in meno dei troppi che vanno ai partiti?
Perché regalano, arruolano loro stessi nell’antipolitica quanti pensano che due miliardi e trecento milioni incassati a fronte di circa 600 milioni spesi in effettiva campagna elettorale sono troppi in assoluto e cifra insostenibile e impresentabile in tempi di crisi economica e sociale montante, tasse crescenti e credibilità dei partiti politici ai minimissimi termini? Perché non rinunciano a cinquanta di quei milioni qui e ora sapendo che più che rinuncia è investimento ad alta redditività in termini di consenso e quindi, ad essere lucidi, anche in termini di soldi futuri? Perché non possono, neanche essere lucidi, neanche essere lungimiranti sui loro stessi interessi. Perché i partiti, è terribile constatarlo per bocca dei loro leader sono oggi “sindacato” del milione di persone che di redditi diretti e indiretti della politica vivono. La dichiarazione di Alfano, Bersani e Casini sulla intangibilità dl finanziamento pubblico dei partiti questo attesta: i partiti sono come la Cgil, la Cisl o la Uil, come la Confindustria o l’Ordine degli avvocati o dei giornalisti: “parte sociale” che non può toccare i “diritti acquisiti” della platea, dello spicchio sociale di riferimento. Azione legittima che però contiene e suppone la totale e definitiva abdicazione dalla ricerca e promozione dell’interesse generale. E’ questo il dramma, il vero “drammatico errore”. Più dei milioni e dei miliardi il “drammatico errore” è la conclamata e confessa natura di sindacato e corporazione che i partiti hanno assunto e drammaticamente rivendicano.
Non è vero che la secca alternativa sia tra il finanziamento pubblico ai partiti così come è oggi e il nessun soldo pubblico ai partiti. Sono Alfano, Bersani e Casini, guarda caso in questo caso in sintonia con Beppe Grillo e con ogni qualunquismo vecchio e nuovo, a metterla così. E lo fanno, la mettono così per non dover rispondere a ciò che loro il buon senso politico chiede: diminuire e cambiare il finanziamento pubblico ai partiti. Di rimborsi elettorali incassano il triplo di quanto spendono nelle campagne elettorali. E’ antipolitica chiedere ed esigere che le campagne elettorali dei partiti siano finanziate dal denaro pubblico a piè di lista, cioè in base a quanto spendono e documentano di aver speso e non un euro in più? E’ antipolitica voler finanziare l’attività politica con i soldi pubblici ma senza che i partiti godano di una rendita pubblica a prescindere dai costi sostenuti? E’ antipolitica anche la commissione europea che ha fatto questi conti, questi rilievi, queste richieste?
Non è vero che quanto resta in cassa ai partiti dopo aver sostenuto le spese di campagna elettorale serva a pagare l’attività politica che dura tutto l’anno e tutta la legislatura e non solo quando si vota. Non è vero, è palesemente falso: infatti c’è spazio perché un Valter Lavitola si faccia pagare dallo Stato 23 milioni di euro per un quotidiano che non c’è più di un partito che non c’è più. Lavitola forse e secondo i magistrati inquirenti quei soldi li rubava, “truffando” lo Stato. Ma la vicenda Lavitola dice che c’era lo spazio nel finanziamento che c’è per averli quei 23 milioni. Infatti i partiti non incassano solo i rimborsi elettorali, incassano anche le sovvenzioni robuste alla stampa di partito. E i partiti incassano anche nella forma di soldi pubblici ai gruppi parlamentari e ai gruppi consiliari. Certo, come dice Bersani, non tutti rubano e non tutti ammonticchiano in case private come Luigi Lusi ex tesoriere della Margherita o in banche tanzane, lingotti e diamanti come Francesco Belsito ex tesoriere della Lega. Però lo spazio per “ammucchiare” c’è, anche se non si ruba: lo dimostrano senza tema di smentita le cronache e i fatti. Non è vero che se i due miliardi e trecento milioni fossero stati un miliardo e mezzo la politica sarebbe morta di inedia. E’ una solenne e neanche pietosa bugia. Con qualche centinaio di milioni in meno si sarebbe asciugato e ristretto il “corpo sociale di riferimento”, quel milione di italiani a reddito medio alto da attività politica. Con qualche soldo in meno la politica sarebbe rimasta viva e in migliore salute. E solo a dei “sindacalisti” può apparire “drammatica” la prospettiva di un calo del reddito e della vastità della platea che lo percepisce: la democrazia non muore se si licenzia qualche funzionario o si smonta qualche pezzo di apparato. E solo dei “sindacalisti” all’ennesima potenza possono narrare che “altrimenti” la politica sarebbe “nelle mani di lobby, centri di potere e interessi particolari”. Altrimenti? Perché, nella politica che c’è non c’è stato spazio per lobby, centri di potere e interessi particolari? Tutte le democrazie conoscono e praticano forme di finanziamento pubblico all’attività politica. Chi vuole abolirle del tutto “prezza” a zero la democrazia. Ma in nessuna democrazia del mondo i soldi pubblici arrivano ai partiti senza misura contenuta e documentati motivi. Chi difende questa trincea difende il suo “popolo”, il suo milione di addetti, professionisti, aspiranti e praticanti. Nulla di meno, nulla di più e alzare la bandiera “democrazia” su quella trincea è gesto tanto corporativo quanto disperato.
Magari fossero ciechi e sordi, ottusi e stupidi Alfano, Bersani e Casini. Non lo sono, se lo fossero la questione sarebbe affrontabile e risolvibile. Sono invece impotenti e assediati, imprigionati e ostaggi di cosa sono diventati i partiti. E come kamikaze vanno a schiantarsi sulla portaerei dei soldi. E con il loro disperato e suicida volo segnalano un passaggio di fase della situazione italiana. Finora e per anni si è detto di un paese che inconsapevole dell’avvicinarsi dell’iceberg e del naufragio danzava sul ponte del Titanic al suono dell’orchestra. Ancora ieri Gianfranco Fini in un’intervista a La Repubblica usava questa immagine: la danza sul Titanic. Ma l’immagine non corrisponde più alla realtà , è metafora fuori fuoco ed asse. Ora non è più questione di inconsapevolezza, è questione di impotenza e panico. Dal ponte del Titanic si è passati ad un altro, ennesimo nella storia italiana, otto settembre 1943. Nessuno sa e può prendersi il carico della responsabilità , lo Stato si squaglia e si sfarina, dalla incoscienza si sta passando alla fuga. Messaggio davvero “drammatico” quello che viene dai partiti, che da loro rimbalza alla gente e la gente rimbalza loro: l’iceberg ora l’hanno visto tutti, ha già colpito la nave, ora è il momento in cui molti, troppi, si avvicinano alle scialuppe portandosi in tasca i preziosi e il denaro. E’ il saccheggio da panico lo spartito che suona l’orchestra e al suo ritmo cominciano a muoversi i passeggeri di prima, seconda e terza classe e pure l’equipaggio e gli ufficiali. Ecco, i partiti sarebbero l’equipaggio e gli ufficiali, ma non lo sono più ed è questo il “drammatico errore”. Che non sembra più rimediabile: anche se la nave dovesse alla fine non affondare, equipaggio ed ufficiali non ci sono più, hanno smesso la divisa e le funzioni.