Era il 28 maggio 2008 quando Veltroni, allora segretario del PD fresco di sconfitta elettorale, lancia la cronista di “Repubblica” al vertice del quotidiano fondato da Gramsci. Solo che lo fa dalle pagine del “Corriere”, con un’intervista ad Aldo Cazzullo, che viene ricevuta malissimo dal direttore dell’epoca, l’attuale “fattista” Padellaro, e dalla redazione.
Soprattutto perché i giochi non erano per niente chiusi. Seguono mesi di trattative tra l’editore Renato Soru, il direttore in uscita, i veltroniani, la redazione. Il clima è teso, e la situazione precipita quando Concita rivela i suoi piani per il futuro dell’ “Unità” a “Prima Comunicazione”, in cui annuncia di voler rivoltare il giornale come un pedalino.
Il Comitato di Redazione dell’ “Unità” scrive allora un comunicato al fiele contro la direttora in pectore di pollo, infarcito di frasi come “siamo all’intollerabile paradosso”, “siamo all’annuncio del cambio di direzione ‘via intervista’?”, e “inammissibile mancanza di rispetto verso l’intera redazione, del direttore Antonio Padellaro cui va tutta la solidarietà dei giornalisti”.
Il 28 agosto 2008 prende dunque il posto di Padellaro, che fonderà l’anno dopo “il Fatto”, successo editoriale che ha ampiamente pescato tra i delusi dal quotidiano nella versione di Lady Cecioni (cognome da maritata). La quale, appena arrivata impone collaboratori e giornalisti amici (come fa ogni nuovo direttore), scontrandosi con una redazione incazzata e sovietica nella sua organizzazione, che le metterà i bastoni tra le ruote a ogni occasione.
Non aiutano gli scazzi a volte violenti con il vice Pietro Spataro, e la scelta del secondo vice, che lei chiama da “Repubblica”, Giovanni Maria Bellu. Bellu è un bravo giornalista e scrittore, ma non riesce a gestire il rapporto con la redazione. Invece di alleggerire la situazione e fare da cuscinetto tra direttore e giornalisti, si chiude in stanza e fugge dai conflitti.
Per molti, l’inizio della fine arriva subito, con la nuova veste grafica, che arriva in edicola il 25 ottobre 2008. Soru sgancia due milioni e mezzo per lo scherzetto, che fa sembrare il giornale un free press come ePolis, che possa entrare nella tasca-da-chiappa di una minigonna jeans, simbolo scelto da Oliviero Toscani per la campagna pubblicitaria (criticatissima perché sessista e, più banalmente, perché bruttissima copia della campagna di Toscani dei jeans Jesus, “Chi mi ama mi segua”).
Seguono la chiusura delle redazioni di cronaca di Bologna, Firenze e Roma. Tagli al personale. La fuga di Travaglio (che con Padellaro fonderà “il Fatto”), già ridimensionato a causa della nuova veste grafica di un giornale che vede l’ego di Concita al centro e gli altri a fare da contorno. Poi l’acquisto di Claudia Fusani, brava cronista che però non conquista la simpatia dei colleghi (forse anche a causa delle intercettazioni sull’intreccio tra stampa e servizi segreti).
E ancora, il cambio di due diversi amministratori delegati in due anni, il tracollo politico-economico di Renato Soru, che da stella della new politics e della new economy, in un uno-due disastroso perde le elezioni regionali contro Cappellacci e si ritrova una società, Tiscali, piena di debiti.
L’elemento economico-politico è determinante (e giustifica in parte l’insuccesso della direzione De Gregorio). L’ “Unità” doveva far da sponda all’ascesa di Soru nel panorama politico italiano, un’ascesa alimentata dalla cassaforte internettiana e dall’appoggio veltroniano. La sconfitta alle regionali del 2009 si porta dietro entrambe. Soru sparisce dal dibattito politico, intento a salvare il salvabile del suo ex impero mediatico. Veltroni deve dimettersi da segretario del Pd, e il progetto di creare il Berlusconi della sinistra fallisce miseramente.