Della Valle ne ha per tutti: critica il notaio Gaetano Marchetti, presidente della Rcs, formalmente l’editore, per avere comunicato al mondo esterno la fiducia piena in De Bortoli con ritardo (“Io l’avrei fatto sapere qualche giorno prima); critica anche De Bortoli, il quale, se “non è assolutamente in discussione”.
A sua volta De Bortoli appare però colpevole di avere permesso che “ in un quotidiano equilibrato come il Corriere” si scrivano “articoli qualche volta fuori misura per dimostrare al mondo che si è indipendenti dalla proprietà. Qualche volta si esagera”.
Ce ne è anche per i giornalisti, ai quali Della Valle dice “che il mondo è cambiato e che il futuro delle case editrici sarà sempre più competitivo, per cui non ci si può permettere di perdere il treno della rivoluzione digitale”, per cui “in Rcs non si possono più mantenere in vita situazioni di comodità oramai superate dai tempi; occorre sbrigarsi”
Ma quelle sono punte di malumore, l’irritazione contro Geronzi e Bazoli emerge in pieno subito dopo, anche sulla spinte delle domande di Pons sugli “arzilli vecchietti unti dal signore che pretendono di avere l’ultima parola sulle decisioni del Corriere senza aver speso di tasca propria”.
Le risposte di Della Valle sono filosofia della gestione: “Da una parte c’è chi produce e dedica tutte le sue energie a fare prodotti da vendere sui mercati di tutto il mondo e dall’altra vi sono altri che attraverso la gestione dei rapporti dei si dice e dalla formazione degli schieramenti hanno una gestione che io ritengo appartenga al passato, lontano da una logica di prodotti, di competitività e di aziende che vivono di mercato”.
Ridiamo la parola a Malagutti: “A questo punto, però, negli ambienti finanziari la domanda è una sola: perché il patron delle Tod’s si sveglia proprio adesso? È entrato in Rcs come socio importante nel 2003 e dal 2004 fa parte del patto e del consiglio di amministrazione. E in tutti questi anni il gruppo ha sempre mantenuto un assetto di governo che non ha eguali in Italia, ma forse neppure nel mondo, con tre organi decisionali (patto, cda di Rcs, cda del Corriere) dove sono rappresentati gli azionisti forti. Con una struttura tanto bizantina è francamente difficile capire dove si formano davvero le decisioni”.
La scelta di Della Valle “di alzare la voce, di rovesciare il tavolo nel tentativo di forzare le scelte in consiglio” si spiegherebbe, secondo Malagutti, anche perché forse “teme che se il risanamento andrà per le lunghe i titoli perdano ancora terreno in Borsa o, peggio ancora, i soci siano chiamati a mettere mano al portafoglio per un aumento di capitale. E a quel punto i banchieri impiegherebbero il denaro delle istituzioni che rappresentano, mentre Della Valle, pagherebbe di tasca propria. Fin qui il Corriere non si è rivelato un grande affare per lui. Nel 2006 i titoli Rcs erano in portafoglio alla sua holding di famiglia per 143 milioni. Nel 2009 il valore era diminuito di due terzi. Una perdita secca di quasi 100 milioni. E potrebbe non essere ancora finita”.
La stessa domanda di Malagutti se la fa Marcello Zacché sul Giornale, con un articolo intitolato: “Così Della Valle vuol fare le scarpe al Corriere”: Mr Tod’s chiama alle armi gli imprenditori-azionisti di Rcs, Obiettivo: liberarsi dalla tutela dei banchieri Bazoli e Geronzi”
SI chiede Zacché: “Ma perché Della Valle dice questo e lo dice oggi?”.
La risposta del Giornale è però diversa da quella del Fatto: “In fondo [Della Valle] non è estraneo a questo si¬stema di potere, né alle sue logi¬che. Viceversa non sarebbe presente nei santuari di Medio¬banca, Generali ed Rcs. Pari¬menti, è sua facoltà esternare tali pensieri all’interno dei con¬sigli stessi in cui siede. Mentre le dichiarazioni di questo tipo, se fatte in pubblico, risultano volutamente mirate a lanciare messaggi più complessi”.