Diego Della Valle, fondatore e principale azionista delle scarpe Tod’s, è impegnato da quale tempo in una polemica dai toni aspri contro alcuni grandi (e potentissimi) vecchi della finanza italiana, da lui definiti “arzilli vecchietti”.
I suoi bersagli hanno chiaramente un nome, anche se lui non lo ha mai fatto in modo esplicito, forse anche per rendere più acuto l’interesse, da abile uomo di marketing come è: sono Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli, oggi presidente delle Generali il primo, di Intesa San Paolo l’altro.
Per questo Della Valle negli ultimi tempi è stato al centro di un vortice di articoli sui principali giornali italiani, dal Corriere della Sera al Fatto, passando per il Giornale di casa Berlusconi.
Di suo, poi, Della Valle ci ha messo il carico da undici, direttamente e personalmente, qualche giorno fa, in una intervista condotta da Enrico Mentana su tutt’altro tema, il restauro del Colosseo e ancora martedì sera, durante Ballarò dove è apparso non come un grande imprenditore, quale è, capace di interpretare e spiegare a tutti noi lo stato d’animo del suo mondo, ma come un personaggio un po’ surreale, col suo gessatone da boss napoletano, fuori luogo in quel parterre di politici di un certo livello che alla domanda dove vai rispondeva puntualmente porto pesci. I pesci, naturalmente, erano sempre quei due, mai nominati ma individuabili dagli addetti ai lavori. Nel resto del pubblico,tra chi conosce e può permettersi un prodotto Tod’s, molti si saranno domandati che collegamento ci fosse tra le scarpe e quel signore.
Per Della Valle è stata persa una importante occasione di comunicare con il grande pubblico, non solo di sinistra ma certo di elevato livello socio culturale che guarda Ballarò. Della Valle ha tutte le carte per uscire dal bozzolo del fabbricante di scarpe, o di scarparo, come dice Dagospia, che Della Valle odia coprendosi un po’ di ridicolo nel manifestarlo. Della Valle è relativamente giovane, conosce il mondo, sa gestire i giornalisti come un ammaestratore: potrebbe diventare un leader carismatico del mondo industriale.
Però non deve sprecare occasioni come quella del Colosseo con Mentana o di Ballarò per regolare dei suoi conti con personaggi con una pelle talmente dura da poter considerare gli attacchi di Della Valle come dei morsi di zanzara.
La causa contingente dell’ira di Della Valle lo vede indubbiamente dalla parte della ragione: sono le manovre intorno alla direzione del Corriere della Sera, che non hanno alcuna motivazione professionale, perché il Corriere è un gran bel giornale, ma forse lo è troppo, al punto da dare fastidio. In questo Della Valle, che del Corriere è azionista attraverso la holding RCS, si comporta da editore ideale e difende Ferruccio De Bortoli, il direttore, contro le manovre di cui lo stesso Della Valle sospetta in particolare Geronzi.
Cerchiamo ora di capire meglio i retroscena della vicenda attraverso quello che è uscito sui giornali negli ultimi giorni, a cominciare da quanto ha scritto Vittorio Malagutti sul Fatto. Malagutti è uno dei migliori, seri e informati giornalisti tra quelli che si occupano di economia: è stato al Corriere, poi all’Espresso, ed è uno dei pochi che le notizie le ha di suo e non ha bisogno dei comunicati stampa per scrivere.
In un articolo intitolato “Al Corriere volano gli stracci. Della Valle contro i banchieri”, Malagutti spiega che “la posta in palio si chiama Corriere della Sera, formidabile centro di potere governato da un affollato patto di sindacato (13 grandi soci) a cui partecipano tra gli altri Della Valle, azionista del gruppo Rcs con una quota del 5,4 per cento e i suoi due rivali Bazoli e Geronzi. Tra gli azionisti di comando troviamo Mediobanca, Fiat, Pesenti, Ligresti, Tronchetti Provera. Insomma, gli esponenti principali di quello che un tempo veniva definito il salotto buono del capitalismo nazionale”.
Della Valle, spiega Malagutti, “accusa i due “arzilli vecchietti” di tirare i fili del giornale più importante d’Italia senza averci messo un soldo di proprio, senza “passare dai luoghi deputati per legge a prendere le decisioni” e quindi “bypassando il consiglio di amministrazione”. Commenta Malagutti: “Parole pesanti, a maggior ragione in un ambiente dove il dibattito tra soci è di solito affidato a dichiarazioni in codice”.
L’articolo di Malagutti è uscito il giorno dopo una intervista data da Della Valle a Repubblica e raccolta da Giovanni Pons, il quale già nel primo capoverso spiega la causa delle polemiche con il fatto che Della Valle è, insieme “con altri azionisti di spicco, molto infastidito dalle voci che nelle ultime settimane si sono rincorse su ipotetici cambi al vertice del Corriere della Sera”.
Perché non ci siano dubbi, l’intervista apre con queste esatte parole, attribuite a Della Valle: “A mio parere le aziende sane al giorno d’oggi devono essere guidate dai componenti del consiglio di amministrazione. Il cda deve essere l’unico luogo dove si parla, si discute e si prendono le decisioni. Senza assegnare alcuna golden share a nessuno per diritto divino”.
E poi ancora: “Il problema è che qualcuno pensa di poter gestire in solitudine o tra pochi intimi bypassando gli altri e il cda che, ripeto, è composto da persone serie e capaci ed è l’unico luogo dove devono formarsi le strategie dell’azienda, punto di riferimento per il management. Chi pensa di fare come in passato sbaglia di grosso. I tempi sono veramente cambiati”.
Della Valle ne ha per tutti: critica il notaio Gaetano Marchetti, presidente della Rcs, formalmente l’editore, per avere comunicato al mondo esterno la fiducia piena in De Bortoli con ritardo (“Io l’avrei fatto sapere qualche giorno prima); critica anche De Bortoli, il quale, se “non è assolutamente in discussione”.
A sua volta De Bortoli appare però colpevole di avere permesso che “ in un quotidiano equilibrato come il Corriere” si scrivano “articoli qualche volta fuori misura per dimostrare al mondo che si è indipendenti dalla proprietà. Qualche volta si esagera”.
Ce ne è anche per i giornalisti, ai quali Della Valle dice “che il mondo è cambiato e che il futuro delle case editrici sarà sempre più competitivo, per cui non ci si può permettere di perdere il treno della rivoluzione digitale”, per cui “in Rcs non si possono più mantenere in vita situazioni di comodità oramai superate dai tempi; occorre sbrigarsi”
Ma quelle sono punte di malumore, l’irritazione contro Geronzi e Bazoli emerge in pieno subito dopo, anche sulla spinte delle domande di Pons sugli “arzilli vecchietti unti dal signore che pretendono di avere l’ultima parola sulle decisioni del Corriere senza aver speso di tasca propria”.
Le risposte di Della Valle sono filosofia della gestione: “Da una parte c’è chi produce e dedica tutte le sue energie a fare prodotti da vendere sui mercati di tutto il mondo e dall’altra vi sono altri che attraverso la gestione dei rapporti dei si dice e dalla formazione degli schieramenti hanno una gestione che io ritengo appartenga al passato, lontano da una logica di prodotti, di competitività e di aziende che vivono di mercato”.
Ridiamo la parola a Malagutti: “A questo punto, però, negli ambienti finanziari la domanda è una sola: perché il patron delle Tod’s si sveglia proprio adesso? È entrato in Rcs come socio importante nel 2003 e dal 2004 fa parte del patto e del consiglio di amministrazione. E in tutti questi anni il gruppo ha sempre mantenuto un assetto di governo che non ha eguali in Italia, ma forse neppure nel mondo, con tre organi decisionali (patto, cda di Rcs, cda del Corriere) dove sono rappresentati gli azionisti forti. Con una struttura tanto bizantina è francamente difficile capire dove si formano davvero le decisioni”.
La scelta di Della Valle “di alzare la voce, di rovesciare il tavolo nel tentativo di forzare le scelte in consiglio” si spiegherebbe, secondo Malagutti, anche perché forse “teme che se il risanamento andrà per le lunghe i titoli perdano ancora terreno in Borsa o, peggio ancora, i soci siano chiamati a mettere mano al portafoglio per un aumento di capitale. E a quel punto i banchieri impiegherebbero il denaro delle istituzioni che rappresentano, mentre Della Valle, pagherebbe di tasca propria. Fin qui il Corriere non si è rivelato un grande affare per lui. Nel 2006 i titoli Rcs erano in portafoglio alla sua holding di famiglia per 143 milioni. Nel 2009 il valore era diminuito di due terzi. Una perdita secca di quasi 100 milioni. E potrebbe non essere ancora finita”.
La stessa domanda di Malagutti se la fa Marcello Zacché sul Giornale, con un articolo intitolato: “Così Della Valle vuol fare le scarpe al Corriere”: Mr Tod’s chiama alle armi gli imprenditori-azionisti di Rcs, Obiettivo: liberarsi dalla tutela dei banchieri Bazoli e Geronzi”
SI chiede Zacché: “Ma perché Della Valle dice questo e lo dice oggi?”.
La risposta del Giornale è però diversa da quella del Fatto: “In fondo [Della Valle] non è estraneo a questo si¬stema di potere, né alle sue logi¬che. Viceversa non sarebbe presente nei santuari di Medio¬banca, Generali ed Rcs. Pari¬menti, è sua facoltà esternare tali pensieri all’interno dei con¬sigli stessi in cui siede. Mentre le dichiarazioni di questo tipo, se fatte in pubblico, risultano volutamente mirate a lanciare messaggi più complessi”.
Prosegue Zacché: “Allora l’impressione è che ci sia una strategia, perché il Della Valle di questo inizio decennio è una figura diversa e più forte del passato, che può provare ad al¬zare la posta e spezzare i vecchi equilibri con una sorta di «ma¬nifesto post bancario », nel qua¬le si decreta la fine del potere, soprattutto personale, derivan¬te dal sistema bancocentrico, a favore di chi i capitali ce li met¬te in proprio”.
“Un manifesto che vede da un lato le banche ridi¬mensionate dalla crisi finanzia¬ria; dall’altro imprese come la Tod’s che proprio con la crisi è diventate una multinazionale del Lusso: i conti 2010 (fattura¬to in crescita del 10%) sono sta¬ti accolti dal mercato come as¬sai meglio delle attese. Mentre il titolo è entrato nell’indice Ft¬seMib e Della Valle è da poco diventato il primo socio di Saks, negli Usa. Aggiungiamo il recente clamoroso successo dell’operazione Colosseo, che verrà restaurato grazie ai 25 mi¬lioni della sponsorizzazione della Tod’s, e il cerchio si chiu¬de: [Della Valle] ci tiene a rimarcare che chi pensa di ave¬re a che fare con un portatore d’acqua, si sbaglia. Nelle scel¬te, nella gestione, nelle nomi¬ne, bisognerà fare i conti con lui”.