C’è suicidio e suicidio. Almeno per la Chiesa Cattolica. Quando morì Piergiorgio Welby, infatti, Il Vaticano disse no: troppo “scomoda”, lunga e visibile la battaglia di Welby per avere diritto a un funerale cristiano in piena regola. Quello di Welby fu un suicidio e quindi il funerale fu negato.
Martedì 9 gennaio, invece, si è tolto la vita Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile di Via Poma, a lungo sospettato prima di essere prosciolto, di essere l’uomo che nel 1990 uccise Simonetta Cesaroni. Per vent’anni Vanacore ha sentito il peso di una storia senza fine e di sospetti mai del tutto cancellati. Ancora oggi, venerdì 12 marzo, il pm del processo che vede imputato l’ex fidanzato della Cesaroni Raniero Brusco, parla, a proposito di Vanacore, di “comportamenti anomali che hanno prodotto un depistaggio delle indagini”.
Il portiere alla fine ha deciso di farla finita. Prima ha ingerito del diserbante, poi si è buttato in mare. Ma nel suo caso la Chiesa Cattolica ha usato un metro diverso: “Vanacore non era contro la vita”. Dispensa accordata e funerale celebrato in chiesa. I suicidi, quindi, non sono tutti uguali. Una volta venivano tutti sepolti in terra sconsacrata. Di funerale non se ne parlava proprio. Adesso, invece, una nuova tendenza: si valuta caso per caso. Ma non è anche questo il “relativismo” che tanto atterrisce Papa Benedetto XVI?