Le apodittiche affermazioni di Frassi si riferivano allo “scandalo Sorelli”, un asilo comunale di Brescia dove prima del 2003 si sarebbero verificati (ma per molti il condizionale è superfluo) casi di pedofilia e abusi sessuali sui bambini che videro indagate dodici persone: maestre, preti, bidelli. Quattro posizioni furono archiviate subito, otto persone finirono sotto giudizio. L’accusa chiese condanne per 125 anni per abusi sessuali su ventitrè bambini. Due maestre furono arrestate e fecero due anni di carcerazione preventiva. A dispetto delle certezze certificate dalle «perizie con l’aiuto di investigatori stranieri», tutti gli imputati sono stati assolti in tutti e tre i gradi di giudizio perché «il fatto non sussiste».
Bisogna rileggere: il fatto non sussiste. La sentenza di primo grado parla di testi inattendibili perché inquinatisi l’un con l’altro presi da una legittima ansia di conoscenza e timore per i figli. Nelle loro sentenze i giudici parlano di «psicosi collettiva» e «contagio emotivo». Come è potuto succedere? Purtroppo in nome del “bene dei bambini”. In nome di tutti i sentimenti buoni che proviamo nei loro confronti, in nome dell’ansia per una giustizia alimentata dalle nostre sacrosante emozioni, che sono così preponderanti nel giudizio di valore che immediatamente sputiamo su avvenimenti e persone da non tenere in nessuna considerazione l’accertamento della verità. Che è un procedimento che richiede distacco, tempo e prudenza; soprattutto quando ci sia di mezzo la libertà, la dignità, il lavoro e l’accettazione sociale di una persona.
Libertà, dignità, lavoro, accettazione sociale: forse il “risarcimento” previsto dallo Stato per gli imputati non ridarà loro neanche uno di questi quattro condizioni-base per una vita civile. Né riuscirà a lavare l’onta.
Ripetiamo: il fatto non è stato commesso, e per un’accusa inconsistente due persone si sono fatte due anni agli arresti, hanno perso il lavoro, hanno avuta rovinata la vita, la reputazione. Adesso lo Stato le “risarcirà” per ingiusta detenzione con trecentomila euro a testa, ma risarcimento è parola inadeguata. La gogna durata sette anni non ha risarcimento. Credo che molti, anche nella nostra categoria, dovrebbero chiedere loro pubblicamente scusa. Sperando di venire perdonati.
