ROMA – Reintrodurre l’immunità parlamentare, mettendo mano alla Costituzione, è davvero così complicato? Filippo Facci, su Libero, sostiene che altre volte il Parlamento, in tempi tutt’altro che biblici, è riuscito nell’impresa di trovare la convergenza necessaria per modifiche costituzionali. A sostegno della sua tesi ricostruisce i drammatici passaggi che accompagnarono la fine della Prima Repubblica. Molti dei protagonisti di allora sono ancora sulla breccia, ma all’epoca la pensavano in modo opposto sull’immunità. Gli ex missini di allora sono tutti al governo e sono diventati garantisti assoluti, ma nel ’93 erano in prima fila tra i giustizialisti. E in buona compagnia: la Lega esibiva il cappio in aula, gli ex comunisti speravano di approfittare del crollo di quel sistema di potere.
Smemorati, opportunisti, incoerenti? E’ la politica suggerisce Facci. Eppure il 20 ottobre del 1993 la riforma parziale dell’istituto dell’immunità parlamentare è approvata. “Una votazione bulgara: 525 sì, 5 no, e un astenuto alla Camera; 224 sì, nessun no e 7 astenuti al Senato. L’autorizzazione a procedere di per sé rimase: e rimane ancor oggi, per richieste di arresti, perquisizioni, intercettazioni e supposti reati di opinione. Ma per indagare e processare, il campo è libero”.
