Piazza Montecitorio, a Roma, su cui si affaccia la Camera dei deputati, è stata occupata, mercoledì 1 dicembre mattino da un insolito gruppo di dimeostranti. Erano gli edili, ma probabilmente per la prima volta nella storia italiana, si trovavano assieme lavoratori dipendenti e padroni, uniti dagli elmetti gialli e blu dell’antinfortunisyica ma certamente divisi dai tratti del viso e ancor più dagli abiti.
I tratti del viso dei padroni, avrebbe detto Fortebraccio nei suoi corsivi sull’Unità quando era un giornale a grande diffusione, non si confondono mai col resto della plebe. Ma gli impermeabili firmati non riuscivano a coprire del tutto i vestiti con giacca e cravatta provenienti dai migliori negozi di Milano o di Palermo.
L’intreccio insolito presentava una ulteriore peculiarità: che a occhio i padroni pareggiavano in numero i dipendenti.
Era il segno inconfondibile dello sforzo di pressione messo a punto dai manifestanti, certamente destinati a incontrarsi ancora in ufficio o in cantiere ma difficilmente nei rispettivi salotti o tinelli.
Il ritmo delle dimostrazioni, dagli studenti agli edili, dà il senso fisico della fine di regno. Anche se a pensarci meglio più che alla fine di un regno, alla cui costruzione molti dei presenti, almeno tra i padroni, hanno probabilmente contribuito con voti e finanziamenti, si deve pensare alla fine di una legislatura.
Tutti sembrano convinti che si andrà alle elezioni e questi sono i momenti migliori per portare a casa qualcosa. Una leggina, anche solo un emendamento, possono cambiare la vita di una azienda.
Anche se la borsa di Giulio Tremonti, ministro della cassa, è chiusissima, alla luce anche della attenzione rivolta alla economia italiana dalla finanza internazionale e soprattutto dagli speculatori pronti a infilarsi nella crepa più invisibile, se proprio dovrà scucire un dollaro lo farà di preferenza per chi potrà portare voti utili alla riconferma di Berlusconi o dei suoi amici che non agli odiati e numerosi avversari. E allora giù con gli altoparlanti.