L’Ocse, una delle tante burocrazie internazionali alloggiate in grandi città del mondo, nello specifico Parigi, ha sentenziato, come ogni tanto fa, dopo una lunga e presumibilmente costosa ricerca a livello globale. L’occasione è il rapporto “Il futuro delle notizie e di internet”, diffuso da Parigi
Ha detto una cosa giusta e una di quelle che ti fanno inferocire. Prima la sciocchezza: “I dati attuali non si prestano a tracciare uno scenario di morte della stampa, soprattutto nei Paesi emergenti, tenendo anche conto dei potenziali effetti positivi della ripresa economica”. Dopo anni di buoni profitti, spiega il rapporto, “gli editori di giornali nella maggior parte dei Paesi Ocse si trovano davanti a introiti pubblicitari, titoli e diffusione in calo. La crisi economica ha amplificato questo trend verso il basso”. In 20 dei 30 Paesi membri, in particolare, il numero di lettori di giornali quotidiani nazionali o locali è in calo, con punte negative in Italia, Stati Uniti, Spagna, Gran Bretagna e Canada.
Però, nessun problema. Anche se un po’ di testate chiudono in occidente, se migliaia di giornalisti e impiegati vengono spinti alla pensione anticipata, che lo vogliano o no, allegria, dice l’Ocse, perché un trend inverso si registra invece nei Paesi emergenti, dove “la diffusione media giornaliera dei quotidiani a pagamento sta crescendo da un numero di anni”.
Davanti alla logica glaciale delle statistiche ci si può solo inchinare, è come la storia del pollo: tu lo mangi, io no, la media è di mezzo pollo a testa. L’importante essere dalla parte giusta della metà.
Poi però il rapporto dell’Ocse sostiene anche una sacrosanta verità, che la colpa della crisi dei giornali non è, per quanto riguarda le diffusioni, da attribuire alle news online, che “per la maggior parte sono un complemento ad altre fonti di informazione, non le sostituiscono”, dato che “i lettori attivi dei giornali cartacei tendono a leggere di più anche le notizie online”.
Il rapporto Ocse, a quanto si legge sulle agenzie di stampa, non dà un nome al colpevole, che invece è lo stesso in tutto il mondo occidentale: l’aumento dell’offerta televisiva, via cavo in America, via satellite in Europa.
La stessa tv, in Europa, è la principale colpevole della crisi della pubblicità dei giornali, mentre in America, il nome del killer è, prima di Google, Craig’s list, il sito dei piccoli annunci gratuiti o pagati molto poco.
In particolare in Italia, che la tv commerciale si sia portata via la gran parte della pubblicità generata dalla crescita economica del paese negli ultimi trent’anni è cosa arcinota; che l’avvento della tv satellitare a pagamento e con pubblicità abbia dato il colpo di grazia è meno riconosciuto ma non per questo meno vero. Purtroppo per i giornali, a presidiare la scandalosa posizione ultra dominante in pubblicità della principale tv commerciale italiana, cioè Mediaset, ci sono un partito e un governo. A far passare sotto silezio l’ulteriore colpo dato alla carta stampata dall’avvento di Sky c’è la colpa dei giornalisti e degli editori, accecati dal sillogismo che chi va contro Berlusconi è democratico anzi di sinistra, ergo Murdoch è un compagno.
Conclude il rapporto dell’Ocse l’esame delle principali sfide con cui si devono misurare i modelli di business dell’editoria, e il contributo che le misure di aiuto pubblico possono dare: “Nel breve termine, alcuni Paesi Ocse hanno messo in atto misure di emergenza per sostenere l’industria dei giornali che è in difficoltà. Inoltre, è in discussione la questione di che ruolo potenziale possano avere i sussidi governativi nel preservare una stampa diversificata e locale senza metterne in gioco l’indipendenza”.