ROMA – Benzina che costeggia i 2 euro al litro, gasolio che insegue, pieno che è diventato un salasso e consumi di carburante che registrano continue contrazioni, l’ultima rilevazione dice 10 per cento in meno. Cosa possiamo fare contro il caro benzina? Incrociare le dita e fare gli scongiuri. In caso di “emergenze nazionali” scatterebbe infatti il nuovo aumento introdotto per finanziare la protezione civile. Speriamo che non piova, che non arrivi un terremoto, che i campi non si secchino. In tutti questi casi il pieno degli automobilisti diventerebbe ancora più caro. In caso di calamità il governo centrale o le Regioni, quando fossero esauriti i fondi già in cassa, aumenteranno il prezzo di cinque centesimi ciascuno e quindi più dieci.
Una tassa, l’ennesima, per trovare i fondi necessari ad affrontare le emergenze non sarebbe per nulla cosa assurda. Almeno se abitassimo in un paese normale. Già perché in Italia, al contrario di quanto la logica suggerirebbe, le emergenze passano ma le tasse restano. Sui quasi 2 euro che rappresentano il costo della benzina gli italiani pagano ancora le accise per la guerra in Abissinia del 1935, quasi 80 anni fa. Come pagano ancora per la crisi di Suez del 1956 e la tragedia del Vajont del 1963. E ancora i prelievi straordinari divenuti ordinari per l’alluvione di Firenze del 1966 o i terremoti del Belice, Friuli e Irpinia, datati rispettivamente 1968, 1976, 1980. E poi la missione in Libano del 1983 e quella in Bosnia del 1996. Il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004; il finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali; l’emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011; l’alluvione in Liguria ed in Toscana del novembre 2011.
Oltre all’ultimo aumento voluto dal governo Monti con il decreto legge del 6 dicembre 2011 dal nome “disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”. Di tutte queste voci che “compongono” il pieno molte fanno riferimento a fatti ormai passati, alcuni persino storici come la guerra voluta da Mussolini. Fatti che i ragazzi studiano sui libri di storia ma per cui gli automobilisti continuano a pagare. Nessuno sembra curarsene, ma lo Stato incassa per finanziare, in teoria, cose che non esistono più e spende, in pratica, per altro.
Tassare la benzina è la via più rapida e semplice, certo. Ma oltre ad essere da sempre in parte ingiusto ed odioso, in quanto si tratta di tassazione indiretta, che colpisce cioè indiscriminatamente tutti i cittadini, a prescindere dalle loro possibilità economiche, comincia ad essere oggi anche una forma di tassazione insostenibile. A rendere palese questa verità la contrazione, registrata negli ultimi 2 mesi, dei consumi di carburante, scesi di circa il 10%. Insostenibile non perché fare il week end al mare costa di più e nemmeno perché per andare al lavoro si spende di più. In fondo, il week end non è un obbligo e, per andare al lavoro, si può anche usare il, pessimo, trasporto pubblico. Ma diventa insostenibile perché buona parte della nostra economia funziona grazie al trasporto su gomma, e quindi a benzina. Aumentare, tassare la benzina significa alzare i costi di trasporto di praticamente tutti i prodotti. Costi che ricadono, inevitabilmente, sul prezzo finale delle merci e quindi sui consumatori, deprimendo l’economia del Paese. Altro che crescita, come recita l’ultimo, pardon il penultimo aumento dei carburanti introdotto dal governo Monti, far pagare più cara la benzina significa bloccare la crescita.
Tagliare la spesa pubblica è cosa complessa e lenta, rivedere il finanziamento pubblico ai partiti è, di fatto, un tema tabù, e allora via con il solito aumento della benzina. Forse, oltre ad incrociare le dita e sperare che non ci siano nuove emergenze, potremmo smettere di usare la macchina. Oltre al risparmio sul pieno otterremo che l’attenzione per trovare nuovi fondi venisse destinata su altri lidi, magari proprio sui soldi che versiamo ai partiti. Incrociamo le dita e speriamo, ma intanto paghiamo la guerra in Abissinia. Senza dimenticare però che sulla benzina, nascondendosi dietro il governo, i petrolieri ci “marciano”: alla vigilia del week-end pasquale non si sono registrati terremoti né alluvioni o frane, neanche uno smottamento. E nessuna “accisa” è piovuta dalle nubi minacciose di Palazzo Chigi, il governo non ha imposto nessuna ulteriore mini tassa. Eppure il prezzo della benzina è salito fino a quasi due euro. Poi, passata la “resurrezione” dell’aumento, inspiegabile come e più di un mistero divino, la benzina sia pur di pochissimo otto giorni dopo Pasquetta è diminuita di qualche decina di centesimi al litro, quel che potevano prendere le compagnie petrolifere, in agguato come ad ogni festività, l’avevano preso.