Precari e lavori scoperti. Il paradosso italiano non deve stupire: troppo forte il divario di welfare con i garantiti

Repubblica ha fatto questo titolo: “Sarti, cuochi, falegnami i posti che nessuno vuole”, il Corriere della Sera ha titolato: “I mestieri che nessuno vuole: 147 mila posti” e l’hanno messo entrambi i giornali in prima pagina.

La Confartigianato ha fatto la classifica dei mestieri «trascurati» e delle professioni per le quali c’è tanta domanda e poca offerta: elaborando dati del ministero del Lavoro e di Unioncamere il rapporto assicura che, nel 2010, finirà per mancare di «copertura» il 26,7 per cento delle assunzioni programmate (sei punti in più rispetto all’anno scorso): a fronte di circa 550.000 nuove assunzioni previste per l’anno, le aziende avranno difficoltà a coprire oltre 147.000 posti. Eppure negli ultimi due anni la crisi ha picchiato forte soprattutto sulle generazioni che si affacciano al mercato del lavoro: nella fascia che va dai 15 si 34 anni ci sono 216 mila disoccupati in più.

Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha dato la colpa al “mercato ancora ‘opaco’ che non dà la possibilità di conoscere le offerte delle aziende e i profili disponibili”, ma forse la risposta è più banale: i giovani italiani vogliono posti di lavoro che diano garanzie, di durata innanzi tutto, vogliono il tempo indeterminato e come dargli torto dopo che praticamente tutti, presidente della Repubblica in testa, parlano del precariato come della calamità del secolo, al cui confronto aids e lebbra sono poco più di un raffreddore.

Fino a quando l’Italia sarà spaccata sulla divisione tra precari e non precari, è più che naturale e legittimo che ciascuno cerchi di trovare un lavoro che offra una serie di garanzie, che se sto male posso rimanere a letto, che se mio figlio piange posso rimanere con lui, che se sono una donna soggetta a particolari periodiche sofferenze posso mandare certificato medico. Il problema della precarietà non consiste solo nella sicurezza del posto di lavoro, ma in tutta una serie di sicurezze che non appartengono al mondo di chi può avere il rapporto di lavoro terminato a stretto giro di posta o quasi.

Secondo la Confartigianato, racconta Luisa Grion su Repubblica, ci sono mestieri per i quali il posto di lavoro “è sostanzialmente assicurato e questo avviene prevalentemente per le attività tipicamente artigiane”. Sostanzialmente assicurate non vuol dire effettivamente sicure, sono tutti mestieri autonomi o che portano a lavorare in piccole aziende dove non valgono le garanzie delle grandi.

Vero è che “su circa 1.500 nuovi installatori di infissi necessari alle aziende ne mancano all’appello oltre l’83%” e anche che  “per i panettieri artigianali (attività faticosa soprattutto per gli orari notturni) è difficile coprire il 39,4% dei 1.040 nuovi posti. Ed è anche vero che “senza considerare attività comunque richiestissime come quella dell’infermiere, la Confartigianato, guardando alle proprie aziende, sottolinea la carenza di gelatai e pasticceri (mancano il 29,1% dei 1.750 cercati dalle imprese) ma anche di sarti e tagliatori artigianali (manca il 21,9% dei 1.960 specialisti richiesti dalle aziende)”.

E sarà anche vero che è difficile anche trovare estetisti e parrucchieri (vuoti il 21% dei posti) e falegnami specializzati (mancano il 19,8%). E sarà anche vero che è meno complicato trovare baristi (mancano il 14,2% dei 7.030 posti disponibili) e camerieri (resta vuoto il 14,1% dei posti offerti dalle aziende) e che mancano il 13,3% dei 26.900 muratori chiesti dalle aziende mentre per i macellai i posti che restano vuoti sono il 10,3%.

Ma quello che Luisa Grion e Maurizio Ferrera sul Corriere e il ministro Sacconi e la Confartigianato sembrano mancare sono due punti fondamentali, senza tener presenti i quali difficilmente si capisce il problema.

Il primo punto è che i mestieri artigianali sono mestieri duri, comportano tutti i rischi di una attività imprenditoriale e non portano certamente i vantaggi, economici e di status di imprese più grosse mentre sul piano della fatica sono in tutto e per tutto come lavori da dipendenti di padroncini, incluso l’obbligo di una presenza continua, caratteristico del precario. Che siano meno scoperte di altri mestieri le richieste di baristi e camerieri non stupisce perché sono lavori che integrano in modo significativo la retribuzione col gioco delle mance e richiedono anche poca formazione e quindi il rapporto tra sforzo per imparare il mestiere e guadagni è quasi ottimale. Le macellerie in genere sono a conduzione familiare e spesso sono condotte da una coppia e dai figli.

Il secondo punto deriva dall’eccessivo divario tra le condizioni di assistenza sociale di un occupato a tempo determinato e di un precario, prima di tutto la pensione. Pur con tutti i tagli che si possono prevedere, le pensioni di chi lavora per una grande azienda, privata o pubblica, non scenderanno mai ai livelli di chi potrà contare, alla fine della sua vita di lavoro, su un valore minore di contributi versati e su valori unitari dei versamenti altrettanto inferiori.

Il dramma del lavoro dei giovani è tutto qui e tinge di colori cupi non solo la loro vita immediata ma anche il loro più lontano futuro. La poca propensione a imboccare carriere come quelle dei vari mestieri artigianali nasce dal livello di vantaggi che vengono con un posto sicuro offerte dal sistema di welfare e che non sono disponibili per tutti i lavoratori, ma solo per un numero, grande quanto si vuole, ma comunque inferiore all’insieme dei lavoratori: troppo per troppo pochi, troppo poco per troppi.

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Marco Benedetto