4 mila protesi al seno novice. Chi le rimborsa e come fare?

ROMA –  Il ministro della salute, Renato Balduzzi, ha disposto che eventuali reimpianti di protesi mammarie verranno rimborsati dal servizio pubblico purché ci siano indicazioni specifiche. Dopo l’allarme lanciato nei giorni scorsi dal governo francese, sui rischi per la salute di 30.000 donne richiamate per rimuovere le protesi al seno Pip, perché ritenute cancerogene, anche l’Italia raccomanda di effettuare controlli.

Saranno valutati solo i casi di mastoplastica legati a problemi di salute, dunque ricostruzioni per carcinoma alla mammella. Il ministro ha quindi specificato che “i centri che hanno eseguito impianti di protesi al seno utilizzando le protesi Pip sono richiesti di essere parte attiva nel contattare i pazienti che hanno subito tali impianti”.

“Le donne che hanno subito un impianto di protesi al seno di tipo Pip sono invitate a discutere la loro situazione con il proprio chirurgo, o sono invitate ad informarsi presso la struttura nella quale hanno eseguito l’intervento circa il tipo di protesi che è stata utilizzata”. L’invito è stato lanciato il 22 dicembre dal ministro della Salute, Renato Balduzzi, sulla base del parere reso dal Consiglio Superiore di Sanità. “Non esistono prove di maggior cancerogenicità ma sono state evidenziate maggiori probabilità di rottura e reazioni infiammatorie” si legge nella relazione.

Il problema specifico per l’Italia è che le cliniche non hanno l’obbligo di segnalare gli impianti, il decreto che prevedeva l’istituzione del registro delle protesi, non è mai decollato: bloccato al Senato per intoppi di privacy e finanziamento.

Gli esperti dicono che per le protesi Pip non è stato dimostrato un legame causa-effetto sull’insorgenza di tumori. Dunque, donne rassicuratevi, perché “il rischio reale con le protesi Pip sono le infiammazioni e le complicanze per la loro rottura. Tutto correggibile in sala operatoria senza danni irreparabili” ha spiegato Maurizio Nava, primario di Chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano.

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Daniela Lauria