TORINO – Venticinque anni di attesa e ventidue milioni di sprechi. Sprechi cui hanno contribuito tutte le parti in causa: la Regione Piemonte con i governatori che si sono alternati, gli ambientalisti, i partiti e forse persino i magistrati. Sprechi che nella Regione Piemonte prendono la forma di un referendum sulla caccia che si doveva fare nel 1987.
Ora il referendum si farà ma, ed è l’ultimo spreco, non il 6 e 7 maggio quando alle urne ci si doveva andare comunque causa elezioni amministrative. Roberto Cota ha deciso che per la caccia si voterà il 3 giugno, un mese dopo. Con tanto di milioni che, invece che per scuole e ospedali, saranno spesi per decidere, tra le altre cose, se sia giusto o meno che si possa andare a caccia di domenica, se si possa andare a caccia quando nevica, e se le specie “impallinabili” debbano essere 29 oppure solo 4.
Quando tutto comincia corre l’anno 1987: un gruppo di ambientalisti comincia a Torino una raccolta firme contro il regolamento che disciplina la caccia nella Regione Piemonte. Senza Facebook, Twitter e affini (negli anni ’80 si faceva anche senza) il gruppo di ambientalisti raccoglie 60 mila firme per cancellare quattro articoli della legge regionale n.60 del 1979, che allora regolava la caccia sul territorio. Regolava perché, nel frattempo, proprio per evitare il referendum, la giunta vara una tanto nuova quanto inutile legge. E’ il 1988 e la norma dovrebbe bloccare quello stesso referendum che solo qualche mese prima la stessa Regione aveva decretato ammissibile.
Ancora una volta un condizionale perché agli ambientalisti (Lega abolizione caccia, Pro-Natura, Wwf) la nuova norma non piace neanche un po’. Arriva quindi il ricorso al Tar che si chiama fuori e passa il tutto al giudice ordinario. La vicenda va per le lunghe e cambia anche il governatore, tocca al forzista Enzo Ghigo. Quello che succede in quegli anni è un efficace microcosmo del funzionamento della macchina giuridica e amministrativa italiana. Sulla Stampa Antonella Mariotti lo riassume in poche righe: “In tre anni, dal 1999 al 2002, il Tribunale di Torino rigetta la domanda del Comitato, la Corte d’Appello lo accoglie e annulla il decreto della Regione, mentre la Cassazione respinge il ricorso del Piemonte e conferma la pronuncia della Corte d’Appello. La Regione, allora, nomina una Commissione affinché valuti se la nuova legge aveva recepito le istanze referendarie. La commissione manco a dirlo promuove la Regione: siamo nel 2002, gli amministratori si sentono al sicuro. Ma il comitato non si arrende, e torna al Tar con due ricorsi. Le domande vengono respinte, e allora si va al Consiglio di Stato. Poi, nel 2006, il Comitato iniziava la causa in Tribunale per ottenere l’annullamento della legge regionale che intanto è cambiata ancora”.
Negli anni successivi la situazione non cambia: è il 2008 quando la Corte d’Appello dà definitivamente ragione agli ambientalisti ma ancora nel 2010 il Pd chiede una nuova legge per risparmiare 22 milioni di euro che potrebbero essere utilizzati per scuola e sanità. Legge che, allora, l’ottimista Pd pensava di poter fare in 10 giorni. In due anni, invece, la legge non è stata fatta, mentre sta per essere fatto il referendum. Fatto, ovviamente, quando costa di più, non nel giorno delle amministrative. Con buona pace della scuola e della sanità che avrebbero potuto contare su una parte di quei 22 milioni.