Correva l’anno 1982 e il “padre” della Ru486, Etienne-Emile Baulieu, portò i suoi primi studi all’Accademia delle Scienze: proponeva i risultati clinici del mifepristone come alternativa all’aborto per aspirazione. Sei anni dopo la pillola abortiva era già in commercio in Francia, nonostante l’ira del fronte del no.
A seguire le orme dell’Eliseo sono stati i governi di Austria, Belgio, Danimarca, Svezia, Norvegia, Estonia, Lettonia, Finlandia, Ucraina, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svizzera e Grecia. In Europa finora oltre un milione e mezzo di donne hanno fatto usa del “confetto della discordia”, mentre negli Stati Uniti sono circa 650 mila le persone a cui è stata somministrata.
In Italia invece continua il tira e molla per il via libera definitivo, giovedì 26 novembre la commissione Sanità del Senato ne ha bloccato l’immissione in commercio. La Ru486 è stata già testata in diversi ospedali: la prima sperimentazione, finita subito al centro delle polemiche, è avvenuta al Sant’Anna di Torino, dove nel settembre del 2005 l’allora ministro della Salute Francesco Storace inviò gli ispettori, per poi sospendere e imporre il ricovero alle donne che intendevano interrompere la gravidanza avvalendosi del farmaco.
A novembre dello stesso anno lo studio venne ripristinato, mentre all’ospedale Lotti di Pontedera (Pisa) iniziarono a usare il farmaco caso per caso. Nel 2006 alcuni ospedali di Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Trentino seguirono l’esempio.
Nel 2005, l’Organizzazione mondiale della sanità l’ha inserita nella lista dei farmaci essenziali, ma per molti Stati le rassicurazioni di sicurezza dell’Oms e dell’Ue non bastano: la pillola abortiva non c’è in Islanda, Irlanda, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Bulgaria, Bielorussia, Moldavia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Macedonia, Albania, Turchia.