Se non ci fosse di mezzo un problema serio come la criminalità organizzata che piaga con i suoi metodi violenti alcune zone del Meridione d’Italia, la polemica tra il primo ministro Silvio Berlusconi e lo scrittore napoletano Roberto Saviano sarebbe da
Ha aperto le ostilità venerdi Berlusconi, attaccando Saviano in un modo plateale e sconcertante, anche perché attacchi del genere, che non sono inusuali in Berlusconi (Saviano e Santoro sono i suoi bersagli preferiti di recente), non sono degni di un signore che guida un paese, fosse anche la Repubblica delle Banane.
Berlusconi parte da un fondo di verità, perché chi viaggia per il mondo non può certo sentirsi felice quando viene apostrofato come mafioso perché italiano senza poter far valere fino in fondo il fatto di essere ad esempio nato a Trieste o di non avere votato Berlusconi. Anche se hai partecipato alle marce dell’antimafia, la botta di mafioso te la becchi comunque.
Purtroppo sembra che le manifestazioni artistiche italiane, letterarie o cinematografiche, di maggiore interesse all’estero siano quelle che affondano il coltello nelle piaghe del meridione d’Italia. Tuttavia è lecito pensare che tanto interesse, non solo all’estero ma anche in Italia (Gomorra è diventata una gallina dalle uova d’oro e c’è da credere che Saviano, tra diritti del libro e quelli del film sia quanto meno un signore benestante) non sia dovuto a una adesione morale, ad una spinta mondiale a pulire finalmente le nostre stalle, ma piuttosto alla morbosa curiosità che suscita tutto ciò che sa di criminale: basta pensare al successo, parallelo a quello di Gomorra, di Romanzo criminale o, in America, della serie di telefilm incentrato sulla famiglia mafiosa italo americana dei Soprano.
Saviano però è stato capace, anche a causa di minacce di qualche sconsiderato criminale, di trasformare la sua attività letteraria in un martirio, oscurando anche un po’ altre vicende analoghe, meno risonanti, meno redditizie, di giornalisti napoletani i quali, sempre certamente al minimo di stipendio, hanno sfidato la camorra, vivono sotto continua minaccia, non demordono dal loro lavoro, restano confinati in redazioni periferiche del quotidiano il Mattino di Napoli.
Nelle ultime ore, con la rivelazione che Berlusconi è anche l’editore del libro Gomorra, la vicenda è diventata farsesca.
Berlusconi editore, sia pure attraverso la mediazione della Mondadori, di cui è presidente sua figlia, attacca un suo autore, uno di quelli che sembrano meglio contribuire ai conti della casa editrice. Questo può voler dire tante cose: che Berlusconi non legge libri e quindi non sa che Gomorra è pubblicato da Mondadori; Berlusconi è così liberale da non mettere il naso nelle scelte dei suoi manager; che a confronto con quel che la tv rende alla famiglia, poco gli importa di una casa editrice di cui in fondo a lui in origine era importato solo perché possedeva Rete 4 e poi Repubblica. Forse un po’ delle tre cose assieme.
Saviano ovviamente ha replicato all’attacco, con una lettera aperta, che ripete, nel suo sempre complesso italiano, i soliti temi a lui cari. C’è però una novità interessante, riguardante appunto Berlusconi editore. Fino a ieri Saviano non aveva mai insistito troppo sull’identità del suo editore ma la sparata di Berlusconi lo ha costretto a parlarne. Si sa che negli ambienti informati circolano da tempo voci di pressioni su Saviano perché lasci la Mondadori, ma si tratta di una scelta comprensibilmente difficile perché la Mondadori è la migliore casa editrice di libri in Italia.
Nelle parole scritte nelle ultime ore da Saviano, lo scrittore dà prova di grande intelligenza e abilità. Invece di cadere nella trappola, se davvero masochisticamente Berlusconi gliela ha voluta tendere, far valere onore e dignità, prendere cappello e dire dannunzianamente “vado verso la vita”, passando dalla destra alla sinistra e quindi da Mondadori a Feltrinelli, Saviano butta la palla in campo avversario e dice: parlerò con la gente della divisione libri e chiederò loro una risposta.
La mossa è intelligente perché scinde il rapporto con la casa editrice dalle sparate del suo proprietario; perché individua dentro la Mondadori un’isola di persone che non sono servi del padrone; perché riconosce a Berlusconi una caratura di liberalismo di cui certo non è stato un esempio preclaro nelle vicende Rai, forse anche perché i libri sono tanto remoti da lui, così familiare con i tabulati, cosi intrinseco invece alla televisione. Basta solo questo per allontanare il sospetto, albergato in alcune anime malvagie, che Berlusconi abbia montato tutto questo ambaradan per rilanciare le vendite del libro, quando invece si tratta di incontinenza verbale.
Ha scritto Saviano: “Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della famiglia [Berlusconi]. Ho sempre pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sua parole non so se sarà più’ così. E non so se lo sarà per tutti gli autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e Einaudi in questi anni hanno pubblicato”.
Per questo,”la cosa che farò, sarà incontrare le persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a fare arrivare le mie storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi dall’accusa di essere editor, uffici stampa, dirigenti ‘comprati’. E che invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E’ da loro che voglio risposte”.
Magistrale.
Per chi fosse interessato a capire meglio la posizione di Saviano, la sua tesi è che i clan di tutte le mafie “vogliono il silenzio” e “solo mostrando come stanno le cose si ha la possibilità di fare resistenza”.
Giustamente offeso dall’assurdo attacco Saviano chiede a Berlusconi di “porgere le sue scuse non a me, che ormai ci sono abituato, ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti raccontando”.
Saviano così si rivolge al presidente editore: “Presidente Silvio Berlusconi le scrivo dopo che ha accusato chi racconta i meccanismi criminali di essere responsabile di ‘supporto promozionale alle cosche. (…) Le chiedo solo di fermarsi un momento a riflettere su cosa le sue parole significano per quanti trovano la forza di raccontare e di esporsi, rischiando. Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Ciò che vogliono è il silenzio e solo mostrando come stanno le cose si ha la possibilità di fare resistenza”.
L’accusa mossagli da Berlusconi “non è nuova. Anche molte personalità del centrosinistra campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento napoletano, che mi ero fatto pubblicità'”.
Saviano aggiunge: “Continuerò a parlare a tutti, qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori, Presidente. Molti di loro credo saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole. Chiedo ai suoi elettori, chiedo aglie elettori del Pdl di aiutarla a smentire le sue parole. E’ l’unico modo per ridare la giusta direzione alla lotta alla mafia. (…) “Si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano”, che “per lei è meglio non dire, è meglio la narrativa del silenzio, del visto e taciuto, del lasciar fare alle polizie e ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro”. “Il silenzio è ciò che vogliono. Vogliono che si riduca tutto a un problema tra guardie e ladri. Ma non è cosiì”.
Trascinato dalla auto consapevolezza, Saviano esagera anche un po’, quando scrive a Berlusconi che “invece di accusare chi racconta avrebbe potuto dire che l’Italia è il paese con la migliore legislatura antimafia del mondo”, rivelandosi grande esperto di diritto penale e antimafia comparato e sottintendendo la tesi che tutto il mondo è in mano alla mafia e che se l’Italia pur con leggi così eccellenti è nelle condizioni in cui è, figuriamoci gli altri paesi.
Poi non resiste alla tentazione di sentirsi parte di popolo di santi, poeti, navigatori e eroi, come ricorda ogni giorno a chi passa vicino all’Eur di Roma una grande scritta in un bellissimo palazzo da ormai circa 70 anni, e rimprovera a Berlusconi di non ricordare “come noi italiani offriamo il know-how dell’antimafia a tutto il mondo”. Si sapeva il contrario, meglio così. Se Berlusconi lo avesse fatto, “questo sarebbe stato dare dignità a chi si batte per debellare una piaga, di questo i suoi elettori sarebbero andati fieri. Molti di loro, credo, saranno al contrario rimasti sbigottiti ed indignati dalle sue parole e forse proprio loro potranno aiutarla a smentirle”.
La lettera di Saviano chiude così: “Io a questi attacchi oramai sono abituato e continuerò a usare la parola per raccontare, per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato in una terra meravigliosa, purtroppo devastata, la cui bellezza continua a darmi forza per sognare la possibilità di un’Italia diversa”.