Due dei più bravi giornalisti italiani, Alberto Statera e Francesco Merlo, hanno dato voce e quasi corpo, sul quotidiano la Repubblica, alla indignazione del popolo di Terzigno, per l’oltraggio che viene dalla trascuratezza e dalla indifferenza del governo e dalla protervia di Berlusconi di mandare a sistemare il problema della spazzatura a Napoli niente meno che Guido Bertolaso, quello che dopo essersi vantato e avere proclamato “missione compiuta” ha lasciato questo martoriato territorio in condizioni quanto meno deprecabili.
Ls cosa più grave, dal punto di vista di Berlusconi, è che né Statera né Merlo possono essere definiti comunisti. Statera nasce socialista, quindi con una incompatibilità congenita con i comunisti, Merlo ancora più in là, verso il centro e forse anche la destra. La loro origine ideologica rende ancora più forte e credibile la loro denuncia, carica di ironia quanto di sdegno.
Cominicia Statera, con queste parole:
Terzigno, provincia di Kabul, esibisce alla luce del sole, dopo la notte della follia, le sue insondabili antinomie.
Spuntano tra le macerie i resti di un tricolore bruciato per disprezzo contro uno Stato infingardo e patrigno, mentre qualcuno, come già avvenne nella notte dei fuochi e dei sassi, intona patriottico Fratelli d’Italia e stende un altro tricolore intatto dinanzi agli agenti in tenuta antisommossa. «Ma l’inno nazionale non è servito la notte scorsa a fermare i poliziotti », lamenta una pasionaria del presidio antimonnezza.
Una delegazione di commercianti cittadini solidarizza con l’intifada della Rotonda Panoramica, nonostante alcuni di loro abbiano avuto le vetrine dei negozi spaccate e le serrande sfregiate. Gli organizzatori della sagra della sfogliatella, pur destinata al fallimento, non si lagnano per le bellicose occupazioni serali dei compaesani che li allontanano dal consumo delle loro deliziee della penuria di visitatori da fuori.
Insieme all’arrivo del redivivo Bertolaso, che di questa temperie rivoltosa e rovinosa porta cospicue responsabilità, è annunciato l’arrivo della Madonna, nonostante l’autentico furore provocato dalle parole di Berlusconi dopo il consiglio dei ministri, all’insegna del tout va bien madama la marchesa, e dal presidente della regione Caldoro, «‘o cagnolino ai piedi del padrone, lì a sbavare vicino a ‘o boss come i poveri sindachelli nostri ».
Il sindachello di Boscoreale Gennaro Langella, che si è dimesso dal Pdl, dice ironicamente che se in dieci giorni Berlusconi risolverà un problema irresoluto da tre lustri, andrà fatto subito santo.
La Madonna della Neve in effige dinanzi ai compattatori, i camion che nella notte scaricano le schifezze di Napoli, è annunciata da Brigida Avieno, professoressa di inglese molto british e anche molto incazzata: «La Madonna della neve fermò la colata di lava nel 1906, chissà che non riesca a fermare ora lo scempio di questa terra nostra che era generosa di prodotti straordinari e che affascinò persino Goethe». Oggi Lachryma Christi e Falanghina, i vini di questa zona, li rimandano indietro, i pomodorini del pendolo, conosciuti dai grandi chef di tutto il mondo, e le crisommole, le strepitose albicocche locali, sono ormai introvabili.
«Io faccio la raccolta differenziata — racconta Brigida, reduce da un viaggio di studio a Edimburgo — poi vedo che la mia immondizia la mischiano con quella di Napoli che la differenziata non la fa, in un’unica schifosa poltiglia che dai compattatori disperde percolato per le nostre strade. Perché allora la monnezza napoletana non la buttano da loro, lì nell’area di venti ettari dell’ex Italsider, invece di avvelenare la terra delle nostre radici, dove mio nonno nacque nel 1850?» «Chissà se è perché a Napoli si vota a marzo e Berlusconi non può permettersi di perdere le elezioni nel capoluogo, «interviene un’altra insegnante-politologa sotto un cartello che dice: «Berlusconi infame, vergogna d’Italia, hai perso il sud!».
Questo popolo bonario, che rivendica la sua civiltà, portato al furore, partecipa a una violenza incontrollata, che viene dalla pancia e travalica il cervello. Senza nessuna traccia di pentimento. «E sa perché?» spiega una donna anziana del gruppo — Brigida, che confessa di aver lanciato anche lei un bullone o comunque qualcosa che la notte prima si era trovata in mano al momento dell’incedere della colonna dicompattatori. «Perché per due anni abbiamo fatto comitati, fiaccolate, preghiere alla Madonna e nessuno se ne è accorto. Poi, al primo compattatore bruciato, siamo diventati un caso nazionale. Come se in questo paese dei paradossi occorresse fare i teppisti per essere ascoltati. Essere civili non serve».
Scende la notte sulla Rotonda della rivolta e Bertolaso si rintana a Napoli in prefettura, dove riceve i sindaci, con le stesse promesse di due anni e mezzo fa. A Terzigno, provincia di Kabul, non ha il coraggio di salire. «Stanotte ci può dare una sola buona notizia», dice il sindaco di Trecase Gennaro Cirillo: «Che si dimette ». Il carisma profuso dall’uomo del fare non abita più sotto il Vesuvio berlusconiano. La pazienza ora è finita sotto unmucchio inestinguibile di monnezza.
Il colpo di grazia viene da Merlo, un articolo fatto a distanza, con tutta la rabbia fredda della circostanza:
Anziché una squadra di incorruttibili, armati di codice e protetti da una intelligenza anche militare, Silvio Berlusconi ha mandato a Napoli Guido Bertolaso, l’impunito.
Propone, dunque, un trattamento omeopatico: cura la malattia con la malattia stessa. L’emergenza spazzatura – è la sola certezza che tutti, a sinistra come a destra, ormai abbiamo – nasce infatti da una grande corruzione, non solo economica e morale, ma anche politica e intellettuale. È insomma uno scandalo nazionale, una malattia della democrazia italiana, che ha coinvolto anche il centrosinistra, ed è giusto ricordare che fummo noi a chiedere, per primi e con forza, le dimissioni dell’allora governatore della Campania, Antonio Bassolino. Ma solo Berlusconi poteva arrivare alla sfrontatezza di contrastare la corruzione con un presunto corrotto. Tanto più che Bertolaso è indagato per la più odiosa delle corruzioni: la sciacallaggine che specula sulla sofferenza e sulle disgrazie, trasforma i disastri in affari, ingrassa nella monnezza.
Ma fosse pure innocente, come noi ancora ci auguriamo, questo sottosegretario, che agli italiani aveva promesso di dimettersi entro l’anno, non ha più nessuna credibilità. La sua immagine è irrimediabilmente sporcata, anche fisicamente. E in lui c’è pure qualcosa di comico, di quella comicità grottesca che a volte accompagna le cose terribili.
Quel corpo magro e scattante di Bertolaso non fa più pensare alla ginnastica da lavoro, ma alle massaggiatrici del Salaria Sport Village e agli ozi della casa a sbafo di via Giulia. Cosa penseranno vedendolo arrivare a Napoli, non solo le persone per bene che, con ragione, protestano, ma i plebei rivoltosi che bruciano la spazzatura e ora si armano pure di molotov? Probabilmente cercheranno i suoi cari attorno a lui, la sua famiglia allargata, il cognato, la moglie, i parenti che ha favorito e gli imprenditori della cricca pronti a sguazzare nella sofferenza. Insomma Bertolaso a Napoli è una provocazione.
Solo in tempi meno drammatici la capitale della cultura apotropaica avrebbe reagito all’arrivo di Bertolaso con lo sberleffo e con lo scongiuro, rumoreggiando e toccandosi. Ma qui c’è la prima prova generale di una orribile sommossa plebea. E si sa che, vili e ottusi, gli ossessi e gli invasati mai attaccano la miseria dentro la quale sono finiti, ma sempre colpiscono le persone migliori, scelgono gli obiettivi più innocenti e indifesi e, come insegna la storia partenopea, trovano sempre una Eleonora Pimentel Fonseca con cui prendersela.
Dunque Berlusconi ha negato l’emergenza per la quale il Capo dello Stato prova invece «pena e allarme », ha promesso di spazzare la Campania «in dieci giorni», e «non è eversione», e «i disordini sono solo un fenomeno locale ». Forse perché la sola emergenza nazionale che conosce e combatte con tutte le sue forze si chiama Santoro, Berlusconi non ha ascoltato neppure Umberto Bossi che, sia pure senza alcuna grazia e parlando con lo stomaco, ha avvertito la gravità del pericolo e l’irresponsabilità del governo: «Bisogna intervenire, non possiamo aspettare che ci scappi il morto». Ovviamente neppure Bossi capisce che, anche senza morto, in una delle nostre più grandi regioni e in una delle più belle città del mondo la spazzatura sta seppellendo la democrazia. E che non si può parlare di lotta alla camorra, di rinascita, di sogno meridionale e di impegno contro la criminalità organizzata mandando a Napoli lo sfacciato Bertolaso.
Mai come nella conferenza stampa di [Berlusconi e Bertolaso] si era vista così forte e chiara la somiglianza tra Berlusconi e Bertolaso. Abbiamo assistito ad un tristissimo siparietto nel quale trionfava non solo l’impunità ma anche la «combriccolaggine», l’appartenenza alla stessa antropologia. È infatti Berlusconi che in Italia ha buttato il Codice nella spazzatura e ora dalla spazzatura riemerge Bertolaso che della spazzatura è il codice.