La forma è riveduta e corretta, ma la sostanza è più o meno la stessa: mettere fuori uso una porzione di cervello, insomma, fare una lobotomia. Un modo di operare abbandonato negli anni ’50 e messo nel dimenticatoio, almeno fino a qualche tempo fa. Ora, invece, la Food and Drug Administration americana ha approvato il ricorso ad alcune tecniche chirurgiche sperimentali di “psicochirurgia”, ovvero di intervento diretto del medico sul cervello, per alcuni casi di sindrome ossessivo-compulsiva.
Anche se anni di studi hanno cercato di penetrarne i segreti più reconditi, il cervello rimane l’organo umano più complesso e misterioso, su cui si focalizzano ricerche da miliardi di dollari. Alla fine del secolo scorso si pensava che le neuroscienze avrebbero rivoluzionato il trattamento delle malattie psichiatriche, ma la loro applicazione più moderna e innovativa non è altro, in realtà, che la versione più sofisticata di un vecchio e controverso approccio: quello chirurgico.
Nell’ultimo decennio, più di 500 persone sono state operate al cervello per problemi quali la depressione, l’ansia, la sindrome di Tourette e persino l’obesità, come soggetti di ricerche mediche sperimentali. I risultati sono stati incoraggianti e quest’anno, per la prima volta da quando la lobotomia frontale fu screditata negli anni ’50, la Food and Drug Administration americana ha approvato una delle tecniche chirurgiche per alcuni casi di sindrome ossessivo-compulsiva.
Mentre poche migliaia di persone possiedono però le caratteristiche previste dai severissimi criteri di oggi, milioni di altri pazienti potrebbero usufruirne in futuro, quando le tecniche diventeranno meno sperimentali.
Ma insieme alle speranze, bisogna calcolare anche i rischi, come sottolineano alcuni psichiatri, convinti che i dottori non sappiano ancora molto dei circuiti cerebrali su cui intervengono. I risultati, oggi, sono infatti imprevedibili: se molte persone migliorano, altre non avvertono alcun effetto e, negli Stati Uniti, esiste almeno un caso in cui una paziente sia peggiorata e non sia più stata in grado di nutrirsi o prendersi cura di sé.
Un recente articolo del New York Times, cita a questo proposito due casi emblematici. Quello di Ross, un ragazzo di 21 anni ossessionato dalla pulizia e dalla paura dei germi al punto da rifiutarsi di uscire dalla propria camera, e quello di Leonard, un uomo di mezza età che da anni, invece, vive come un eremita perché non riesce a lavarsi. In entrambi i casi, le diagnosi dei medici avevano evidenziato una grave forma di sindrome ossessivo-compulsiva.
Una malattia che i due hanno cercato di curare – dopo che la psicoterapia e i farmaci non avevano dato risultati – con un’operazione sperimentale al cervello, chiamata “gamma knife surgery”, che tramite radiazioni brucia alcune parti dei tessuti di quei circuiti cerebrali che nei pazienti affetti dalla sindrome risultano iperattivi. Per Ross, che ora studia all’università e ha una vita assolutamente normale, il tentativo ha funzionato. Per Leonard, invece, si è rivelato un buco nell’acqua.
Le ragioni del successo o meno degli interventi sono ancora sconosciute. Ma la ricerca in alcune strutture ospedaliere – tra cui quelle di Harvard, dell’Università di Toronto o della Cleveland Clinic – continua. Le procedure di sperimentate sono diverse, dalla cingulotomia alla capsulotomia, fino alla stimolazione cerebrale profonda. Un’operazione in cui alcuni fili elettrici vengono inseriti nel cervello e tramite una specie di pacemaker viene inviate corrente agli elettrodi, in modo che questi interferiscano con i circuiti che risultano iperattivi nel caso di sindrome ossessivo-compulsiva o di grave depressione.
Le strutture ospedaliere effettuano una rigidissima selezione dei pazienti da operare: i loro disturbi devono essere gravi e disabilitanti e tutte le cure standard devono già essersi rivelate inefficaci. I documenti da firmare per il consenso informato, inoltre, specificano che l’intervento è sperimentale e non ci sono garanzie di successo. Nonostante questo, le domande sono numerosissime. Perché, come spiega Gerry Radano – una donna che ha risolto i suoi problemi grazie a un’operazione sperimentale – «la cosa più importante è che la chirurgia sta dando alle persone un’altra possibilità, ovvero tutto ciò che chiedono in questi casi disperati».