Se, come sostiene il New York Times, il mercato dell’arte rivela più dei sondaggi d’opinione l’umore dei maggiori attori della scena economica mondiale, allora si può forse tirare un sospiro di sollievo e vedere una luce in fondo al buio tunnel della crisi globale.
Gli ultimi due mesi, infatti, hanno registrato il successo di alcune importanti aste – prima tra tutte quella di Sotheby’s dello scorso febbraio – e della Fiera Europea delle Belle Arti (Tefaf), tenutasi a Maastricht tra il 12 e il 21 marzo.
Uno dei principali appuntamenti internazionali, quello olandese, per i collezionisti di tutto il mondo, che già dopo i primi giorni vedeva un sorriso di soddisfazione dipingersi sul volto di Johnny Van Haeften – leader nella vendita di dipinti fiamminghi – che in poche ore è riuscito a piazzare una decina dei suoi quadri più importanti.
Tra questi, una natura morta del Seicento di Simon Luttichuys, completata dopo la scomparsa dell’artista da Willem Kalf. L’opera, del valore di 2,25 milioni di dollari, è stata subito acquistata da un collezionista americano del Midwest, che si è deciso in fretta, come molti dei suoi colleghi.
Un dettaglio che, secondo Van Haeften, evidenzia un clima tanto disteso e fiducioso, quanto era stato cupo quello della scorsa edizione. Opinione condivisa dal newyorkese Richard Feigen, che nei primi tre giorni ha venduto un paesaggio di Constant Tyron (“Unloading the ferry, Sunset”) per 385 mila dollari e un dipinto rinascimentale del 1566, firmato con il monogramma “MO”, per 625 mila dollari.
L’annata d’oro non ha certo trascurato le avanguardie, come ha confermato la parigina Anisabelle Berès, specializzata in opere del IX e del XX secolo. In pochi giorni, ben dodici dei suoi quadri sono stati venduti a cifre più alte delle aspettative, come nel caso di una natura morta di Braque del 1920, acquistata per 445 mila dollari.
La prova più evidente della ripresa, sottolinea il New York Times, si “nasconde” però nelle transazioni tra gli stessi mercanti d’arte. Il londinese Daniel Katz, ad esempio, non stava più nella pelle dalla contentezza per essere riuscito ad acquistare da Dickinson’s un meraviglioso Corot del 1830. Così come l’olandese Dries Blitz non nascondeva la propria soddisfazione per aver piazzato a un collega uno degli oggetti più rari dell’intera fiera: la statua di un saggio buddhista seduto in meditazione, scolpita in un corno di rinoceronte.
La vera regina dell’esposizione è stata, però, l’arte cinese. Un exploit a cui ha certamente contribuito la partecipazione di Gisèle Croës di Bruxelles, che con le sue opere antiche di altissima qualità ha attirato l’attenzione e la curiosità dei più facoltosi collezionisti, che hanno però voluto mantenere la riservatezza sull’entità dei loro investimenti.
Non è stato così per il fortunato vincitore (naturalmente anonimo) che si aggiudicato “L’homme qui marche” dello svizzero Alberto Giacometti, battuto lo scorso febbraio da Sotheby’s a Londra per 65 milioni di sterline, vale a dire oltre 74 milioni di euro. L’opera, una scultura bronzea alta 183 centimetri, ha polverizzato ogni record per il prezzo raggiunto, rispetto a una cifra di partenza stimata fra i 12 e i 18 milioni di sterline.
L’anonimo compratore, che ha lanciato la propria offerta per telefono, ha avuto la meglio su una decina di agguerriti rivali, che hanno lottato all’ultimo sangue pur di portarsi a casa l’originale della figura ritratta – ancora oggi – sui 100 franchi svizzeri.
“L’homme qui marche” avrebbe dovuto far parte di un gruppo scultoreo per la Chase Manhattan Plaza di New York, ma Giacometti decise di abbandonare il progetto perché temeva non sarebbe riuscito a portarlo a termine in tempi relativamente brevi.
