Bertoldo – Atto secondo – Il genitore

“IL GENITORE”

VOCE NARRANTE: Un salotto in cui un bimbo gioca e il padre legge il giornale. Il bambino cessa di giocare.

IL BAMBINO: Papà, papà…

Il PADRE (seccato): Taci, bugiardo!

BERTOLDO: Su questo tema proporrei un’altra scialba commedia sintetica, intitolata

“PROTEGGIAMO I BAMBINI”

VOCE NARRANTE: Lo stesso salotto. Il bambino ha afferrato un martello e sta percuotendo la sorellina. Il padre mette via il giornale.

IL PADRE: Se non la smetti di menare tua sorella ti rifilo una sberla!

IL BAMBINO: E io chiamo il Telefono Azzurro e ti faccio arrestare per maltrattamenti!

VOCE NARRANTE: Convocato il comandante degli sbirri, l’Arciduca ordina di far sgombrare la sala di tutti i minori di anni 16. Ha deciso di ragionare con Bertoldo intorno all’ amore.

ARCIDUCA: Che cosa è l’amore?

BERTOLDO: Risponderei con la storia di Eufrasio.

ARCIDUCA: Di’ pur su.

BERTOLDO: Seduto davanti ad un aperitivo nella prima fila dei tavolini all’aperto del caffè di piazza del Popolo, si innamora di tutte le donne che gli passano davanti. Una ragazza scende dal motorino. Bionda, fragile, giovanissima. «Adesso mi alzo, le dico che l’amo e me la porto a letto». Una signora con il cagnolino. Maestosa, eccitante, labbra carnose, occhi magici. Lui lascia cadere la ragazza e fantastica sulla signora. «E’ stupenda, non posso farne a meno. Mi sento morire se non le racconto tutta la mia passione, se non le esprimo tutto il mio desiderio. O mi si concede o impazzisco». Fa per alzarsi e si profila una quarantenne soda, popolana, seni prorompenti, coscia robusta. «Sarà mia. Sana, pulita, grezza: l’adoro. La donna che aspettavo da anni». All’ora di pranzo ne ha prese e lasciate una dozzina. Sazio di amore paga l’aperitivo e rincasa. La moglie gli ha preparato i fagioli con le cotiche, il suo piatto preferito.

ARCIDUCA, con disagio malcelato: Fare l’amore è diventato ignobile e distorto sinonimo di possedersi sessualmente.

BERTOLDO: Dire facciamo l’amore è un parlare ipocrita. Si avvolge nel sentimento un atto che non sempre o quasi mai lo consente. Ti ferma la battona lungo il viale: «Facciamo l’amore bel biondino?» Ma quale amore, ragazza. Sai tu che cosa è l’amore? Allora, tanto vale dirlo come gli americani: fare sesso, facciamo sesso.

ARCIDUCA: Sarà un modo più brutale ma almeno non mette di mezzo i movimenti del cuore. Assai più garbata l’espressione biblica: «L’uomo conobbe Eva sua moglie la quale concepì e partorì», Genesi, 5-1.

BERTOLDO: Garbata, ma si presta a equivoci.

«Sono felice di fare la tua conoscenza” dice il giovanotto alla ragazza.

«Qui, su due piedi?» risponde imbarazzata la ragazza.

Oppure:

«Le presento la signora De Propertiis».

«Piacere, signora… Ma non ci siamo già conosciuti… Sì, l’estate scorsa a Taormina, ricorda?»

La signora arrossisce e abbassa lo sguardo

Oppure, se mi consenti di raccontarlo con un’altra sintetica commedia che intitolo

“AMMIRAZIONE”

VOCE NARRANTE: Una sala delle conferenze che si sta sfollando. La Ragazza Entusiasta si fa incontro al Vecchissimo professore di Filosofia che ha appena concluso il suo intervento.

LA RAGAZZA ENTUSIASTA: Da molto tempo, professore, morivo dalla voglia di conoscerla…

IL VECCHISSIMO PROFESSORE (sbalordito): Ma è proprio sicura, figliola?

ARCIDUCA: Un tempo “far l’amore” valeva per scambiar parole affettuose tra fidanzati. Fanno all’amore da dieci anni, per dire che si parlano da tanto tempo ed è venuto il momento di sposarsi.

BERTOLDO: Oh la santa ingenuità del Tommaseo, quando citava Guittone d’Arezzo, col suo “cortesemente amorevoleggiavano”, e significava “fare amorevolezze”, non nel senso odierno, di cavare subito le mutande e infilarsi sotto le lenzuola, bensì di scambiarsi cose carine. “Chi è inclinato a mostre d’amore potrà dirsi assolutamente che amoreggia”. Mostre d’amore, gesti gentili, non esercitazioni sessuali. Amoreggiare, cioè vezzeggiare e simili. Per l’onesto Tommaseo “fare all’amore, per estensione, è manifestare brama viva di cosa: fare all’amore a un cavallo, a una casa, a una dote; e per la dote far l’amore con la ragazza”.

ARCIDUCA: Bravo villano! Vedo che i grevi lavori del campo non ti hanno tolto il buon sentire. Io, il Tommaseo, lo tengo sul comodino da notte. E medito sulle sue riflessioni

BERTOLDO: Purtroppo son sentimenti che risalgono ai tempi quando Berta filava le brache al gallo. Berta, sapete, era la madre della mia bisnonna.

ARCIDUCA: Erano i tempi, quelli di Berta, in cui la parola “amante” non aveva quel senso lascivo che oggi ha.

BERTOLDO: Caso mai lo aveva la parola drudo, una parolaccia. Damo, al contrario, era chi amoreggiava con fini non rei, perchè tendeva ad essere sposo della damigella. Però, anche ai tempi del Tommaseo vi erano ahimè “certe ragazzucce che hanno il damo, che non è amante nè sposo; hanno tanti dami, che finisce che non hanno mai sposo”.

ARCIDUCA (sermoneggiando secondo il solito, rivolto ai cortigiani): Per nulla al mondo giudicate uno dalle apparenze. Questo Bertoldo qui parrebbe un rustico di poco cervello e invece ha talento e persino dirittura morale.

VOCE NARRANTE: Immantinente i cortigiani rivolgono al bifolco in jeans applausi, sorrisi, carezze e si compiacciono con lanci di mentine, maledicendolo in cuor loro.

BERTOLDO (rivolto ai cortigiani): Con il consenso del Serenissimo Arciduca, e anche senza il suo consenso, vorrei restituirvi gli applausi, i sorrisi, le carezze e le mentine. Non so che farmene e del resto vengono da gente, come voi, della quale non ho la minina stima.

VOCE NARRANTE: La Corte rumoreggia e non pochi Ministri e gazzettieri fanno l’atto di scagliarsi contro Bertoldo, che corre a ripararsi dietro il trono presidenziale, e vi rimane sino a quando quiete e silenzio vengono imposti dagli armigeri a piattonate. In nome dei colleghi, il Ministro della Giustizia s’inginocchia dinanzi al Signore per denunciare l’offesa arrecata loro dal cafone e invocare un castigo esemplare.

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA: Suggerisco, Reveren-dissimo Sovrano, il taglio della testa al bifolco che nell’ingiuriare noi ha colpito la Maestà vostra.

BERTOLDO( sempre nascosto dietro il trono): A me, si-gnor Ministro, la testa si può tagliare perchè ne possiedo u-na. Voi non correte questo pericolo.

VOCE NARRANTE: Levano alte grida ancora i corti-giani e si apprestano a balzare sul malcapitato ma l’Arciduca aggrotta le ciglia e con un cenno della mano impone loro di tacere.

ARCIDUCA: Fermi e zitti, perbacco! Decido io chi, quando e che cosa far tagliare. (Rivolto a Bertoldo) Esci dal ri-paro senza timore. Sino alla prossima rivoluzione qui comando io. E riprendiamo il nostro favellare. Dicevamo, villano, che in amore i costumi sono mutati. Quanto mutati?

BERTOLDO: «Le presento la mia fidanzata». Adesso si dice così, anche se tutti sanno che lui è sui cinquanta, è stato sposato due volte, ha avuto tre figli da ciascuna delle mogli e vive con questa, che è stata la mantenuta di un paio di avvocati e gli fa da segretaria. Un tempo la parola fidanzata significava: promessa in matrimonio. Oggi: ci dormo normalmente.

ARCIDUCA: Si dice anche la mia ragazza, il mio ra-gazzo…

BERTOLDO: Quando a dirlo sono i giovani, niente da eccepire. Ma sovente lo dicono gli adulti. Per esempio la ragazza del mio dentista ha superato la quarantina. Lui, che lei chiama il mio ragazzo, dovrà presto ritirarsi perchè l’artrosi gli impedisce di manovrare il trapano. Sta per com-piere i 65.

ARCIDUCA: Fammi un esempio di giuramento d’amore.

BERTOLDO: «Giurami che è la prima volta che scappi con un sadico».

ARCIDUCA: L’amore vive di giuramenti.

BERTOLDO: «Ti giuro: sin dal primo momento che ti ho vista ho capito che mi avresti dovuto prestare cinquecento euri».

ARCIDUCA: Le veline… Non saprei come definire queste professioniste televisive del seminudo…

BERTOLDO: Nemmeno io. Però conosco le parole della loro confessione, quando vanno da prete: “Mea pulpa, mea maxima pulpa…”

ARCIDUCA: Hai mica una definizione del topless, vi-sto che va sempre di moda sulle spiagge e anche altrove…

BERTOLDO: Nude alla metà.

ARCIDUCA: I matrimoni diventano sempre più rari, ma almeno ci si sposa per amore.

BERTOLDO: Un tempo i matrimoni erano tutti combinati. Ecco una lettera che la marchesa mantovana Lucrezia Gonzaga scriveva alla figlia nel 1500 o giù di lì:

“Rallegrati, Giulia, e alza le mani al cielo poiché mentre sono stata alla Fiera di Rovigo ti ho trovato un marito. E’ di tal qualità che ognuno che lo conosce lo giudica laborioso ne’ negozi, forte ne’ pericoli, industrioso in qualunque cosa, presto nel darvi protezione e di gran consiglio nel provvedere. Ponitici adunque in ordine perciocchè io penso ch’egli se ne verrà con noi alla Fratta, e fa che non ti trovi coi capelli scarmigliati, col viso sudicio e con le mani impiastricciate come se tu fossi la cuoca. Stai sana. Tua Madre”

ARCIDUCA: Ah la strega! Non capisco perché la ra-gazza avrebbe dovuto levare le mani al cielo. Nemmeno una parola per dire se il futuro marito era giovane o cadente, bello o ripugnante, sciancato oppure orbo. E non una per chiedere la disponibilità della figlia.

BERTOLDO: Donna in malafede e grandissima mezzana quella Gonzaga. Anche lei aveva dovuto sposare un uomo scelto da suo fratello. Ma, rimasta vedova, senti come risponde ad un’amica che le propone di passare a seconde nozze:

“Non mi posso veramente pensare che fantasia vi sia venuta in capo di procacciarmi marito, carissima Stefania, non essendo ancora consunto il cadavere di chi già prima a sé di legittimo nodo mi legò, e che mi ha fatto provare tanti affanni che se divina forza non m’avesse aiutata non avrei potuto resistere a tanti guai. Iddio finalmente m’ha restituito quella libertà che m’era stata occupata dalla fraterna volontà, dandomi marito contro mia voglia, e voi, non so da quale spirito guidata, cercate di condurmi di nuovo sotto il marital giogo? Ponete pure il vostro cuore in pace, e pensate ad altro, che non ritoglierei marito s’egli fosse il più savio, il più ricco dell’universo mondo. Non voletemene, eccetera eccetera…”

ARCIDUCA: E si permette di imporre un marito alla figlia! L’umanità che orrore! Ma bando alle tristezze, ralle-griamoci un poco. Che mi dici degli amori esotici?

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Marco Benedetto