Bertoldo 10. Atto terzo: Sorrisi in tv

BERTOLDO: Con tutto il rispetto, Serenissimo: Saxa, non salsa.

ARCIDUCA: Credevi che fosse un katchup… Possibile che tutto quello che mi dici debba rattristarmi? Ritorniamo al tema. Conosci qualche canzone sulla televisione?

BERTOLDO: Una, e ti basterà. Hai notato che in tv sorridono tutti e sorridono sempre? E allora ascolta questo rap:

“SORRISI IN TV”

S’apre l’occhio della tivvì

E appare il conduttore del tiggì.

Sorride arguto il giornalista

Prima e dopo l’intervista.

E sorridon con il regista

L’economista, l’ecologista.

Sorride amabile il dentista

Della rubrica salutista,

Sorridente l’estetista

Fa sorrider il farmacista,

Con l’urologo, il reumatologo

L’immacabile dietologo.

Sorride mesto il cantautore

Tronfio sorride il senatore

Sorride pur l’operatore

Assieme all’ospite d’onore.

Sorride lieto il colonnello

Quando annuncia tempo bello.

Tutt’un sorriso la valletta

Stupefatta marionetta.

Al badiale cardinale

Sorride futile il campione

Vincitore del gettone,

In cabina il concorrente

Or sorride alla sua gente.

E sorride niente niente

Al passar del Presidente

Il servile dirigente.

Sorride vacuo il calciatore

Se commenta con stupore

La sua gara troppo schiva

In “Domenica Sportiva”.

Sorride all’assorbente

La ragazza intraprendente.

E sorride per via del dente

Lo spazzolino che non mente,

Sorride l’auto portentosa,

Sorride l’abito da sposa,

Sorridon tonici e spaghetti

Profilattici e confetti

Pomodori e doppipetti

Brillantine, manicaretti,

E sorridon ai passanti

Entusiasti deodoranti,

Attenuati aperitivi

Strepitosi detersivi.

Sorride placido il bambino

Che trionfa allo Zecchino

E sorride all’Antoniano

Tutto il popolo italiano

Dal sorriso incontinente

Dilagante e prepotente

Con il quale manco a dirla

Giunta è l’ora di finirla.

ARCIDUCA applaude commosso e l’intera Corte idem. Non è granchè, ma alla radio ho sentito di peggio… Se il televisore ha ucciso il piacere della conversazione, il telefono ha ucciso il piacere di scambiarsi lettere. Lettere di amore, di amicizia, di annunzio, di augurio, di rimprovero, di lagnanza, di scusa, di consiglio, di preghiera, di presentazione, di ringraziamento, per dare notizie liete e spiacevoli. Tutti ne scrivevano ed alcuni eccellevano in quella che era poi vera e propria arte. Basti ricordare madame De Sevigné, che ha lasciato lettere immortali! Per chi non aveva fantasia, esistevano appositi libri, tipo “Il Segretario Galante”. Con l’uso e l’abuso dapprima del telefono fisso, e ora del cellulare, abbiamo disimparato a trasferire in parole scritte i nostri sentimenti, a tradurre in parole le nostre emozioni, i nostri pensieri, a raccontarci cose private e dar loro una forma non soltanto corretta ma gradevole, elegante, efficace. Rimpiango insomma i tempi della corrispondenza. Tu no?

BERTOLDO: Tanto li rimpiango, Altezza, che ho in preparazione una sorta di guida del bello scrivere, caso mai ritornasse in vita la moda dello scambiarsi lettere. Porto sempre nella mia sacca qualcuna di queste bozze. T’interessa ascoltarne almeno una?

ARCIDUCA: Moltissimo. Qual genere ti impegna di più?

BERTOLDO: Le lettere anonime. Forse il solo genere che non sia stato del tutto abbandonato. Perlopiù nei piccoli centri, dove la gente sa tutto di tutti, sopravvive la simpatica consuetudine della tradizionale lettera di mittente che vuol restare ignoto. Leggo un esemplare, da scrivere in caratteri stampatelli:

TUA MOGLIE TI TRADISCE CON L’IDRAULICO. DA TRE MESI SI INCONTRANO NEI GIORNI FERIALI NEL RETROBOTTEGA DEL SUO NEGOZIO IN VIA XX SETTEMBRE. LA DOMENICA QUANDO TU VAI A CACCIA L’IDRAULICO SALE A CASA TUA E RIMANE SINO AL TARDO POMERIGGIO. NON LO SI E’ MAI VISTO ENTRARE CON UN PACCHETTO E QUESTO DIMOSTRA CHE TUA MOGLIE GLI PREPARA IL PRANZO CON LA ROBA DEL TUO FRIGORIFERO. SE VUOI RESTARE CORNUTO DOPO QUESTE INFORMAZIONI SONO AFFARI TUOI.

UN AMICO CHE TI VUOLE BENE

ARCIDUCA: Ineccepibile quanto allo stile, infame quanto al movente.

BERTOLDO: Ma vi sono anonimi più simpatici. Come questo, di cui leggo la missiva ad un marito parzialmente ignaro:

Signore,

ho notizie di Sua moglie. Non si vede più, come qualcuno in precedenza forse L’aveva informato, con il figlio grande dell’imprenditore edile Gavorrano. Il loro rapporto è ormai cosa vecchia da rottamazione e del resto non so come abbia fatto per tutti quei mesi la Signora in questione, lei così fine e delicata, a frequentare (uso l’espressione nobile) un cafone rozzo e ignorante, autentico burino ricco soltanto del denaro di suo padre. Adesso la Signora frequenta me, che sono un serio professionista, colto e stimato. Trascorra dunque tranquillo le Sue notti, anche se sovente solitarie, caro Amico. La Signora, Le assicuro, adesso è in ottime mani. E non mi ringrazi.

(Evito per principio di fìrmarmi, perché l’altruismo è buona regola praticarlo in incognito).”

ARCIDUCA: Possibile mai che il tuo repetorio sia soltanto ricco di ignominie e bassezze?

BERTOLDO: Il mio repertorio contiene anche cose più piacevoli al tuo orechio. Ho qui un paio di lettere quali si usava inviare nel secolo scorso… Diciamo negli Anni Venti-Trenta, mica millenni fa:

“Signorina,

non so se i miei sguardi e le mie attenzioni Vi abbiano ancora manifestato il segreto del mio cuore, il mio labbro non ha osato finora di lasciarlo sfuggire. Io sento in me, tuttavia, un grande bisogno di farvene la confidenza. Prima di tutto Vi supplico, Signorina, a voler credere, essendo tale l’onestà delle mie intenzioni, che non potrebbe restarne offesa la virtù la più pura. Sì, io Vi amo: giacchè finalmente debbo avere il coraggio di farvi sentire questa parola, lo fo col proposito che deve esser proprio di un uomo onesto che ricerchi una giovane virtuosa come Voi siete!

Ora voi conoscete il mio cuore, sapete qual’è la mia condizione; degnatevi di rispondermi, e fatemi sapere se io debba nutrire qualche speranza. Io soffrirò frattanto tutto ciò che il timore di un rifiuto fa provare ad un cuore tanto sensibile, quanto innamorato. Qualunque siasi per essere la Vostra risposta, favorevole o no, assicurateVi ch’io non sarò meno.

Colla maggior considerazione etc.”

ARCIDUCA: Da dove hai tolto questa pregevole prosa?

BERTOLDO: Dalle pagine di un Segreterio Galante del 1924. Come queste rivolte da un giovane ardente ad una giovinetta ancor più ardente:

“Signorina,

ancor che io tenga per fermo, carissima ed amatissima mia, che Voi da molti chiari segni siate oggimai fatta accorta delle amorose fiamme, nelle quali da buon tempo in qua di continuo mi consumo per Voi, non di meno mi è parso doverVene ancora far fede con questa mia lettera: acciocchè con un testimonio tale possiate a pieno esser sicura della singolare affezione mia verso di voi, del serventissimo amore ch’io Vi porto.

Ardo dunque, tutto ardo del Vostro amore, e ardo di maniera che se Voi con gli occhi poteste alle volte ben vedere questo mio incendio, non dubiterei già che mossa a compassione delle mie angoscie non Vi moveste ancora ad amar me; se non tanto, pooco meno di quello che amo io, facendomi in questa guisa felicissimo sopra i più felici amanti che vivano oggi al mondo.

E se a Voi, degnandoVi di tanto gran favore, piacerà farne l’esperienza, troverete senza fallo che potete così ben disporre dui me e di tutte le cose mie più care, come potete delle Vostre.

Faccio fine col baciarVi cento mila volte quelle Vostre bellissime mani e quei Vostri beati e felici occhi, dai quali son passate nel mio cuore più di mille e mille e mille altre saette amorose.

Sono, etc.”

ARCIDUCA: Ah se i giovani d’oggi, troppo sbrigativi, osassero rivolgersi al partner con linguaggio, con stile e con sentimenti nobili di questo genere!

BERTOLDO: Beh, farebbero ridere come neppure riuscirebbe un comico di Zelig. Del resto, che all’amore si sia spesso guardato come sinonimo di affari sessuali non è cosa di oggi. Nel Settecento lo scritore francese Nicolas Chamfort definiva l’amore “le frottement de deux epidermes”, lo sfregamento di due epidermidi…

ARCIDUCA (ria-arrossisce e cambia subito argomento) Basta, riprendiamo la nostra chiacchierata, bovaro. Perché l’Arena di Verona si chiama così?

BERTOLDO: Perché si trova a Verona.

ARCIDUCA: E la Torre Eiffel?

BERTOLDO: Non è che si trova a Eiffel?

ARCIDUCA: A ciascuno il suo.

BERTOLDO: E la Traviata a Giuseppe Verdi.

ARCIDUCA: Da dove arriva il tenore?

BERTOLDO: Parli del tenore di vita?

ARCIDUCA: Parlo del cantante che possiede la più acuta delle voci maschili estendentesi di un’ottava e mezzo e anche oltre.

BERTOLDO: E’ reduce dai trionfi del Covent Garden.

ARCIDUCA: La sala che lo accoglie?

BERTOLDO: Gremita in ogni ordine di posti.

ARCIDUCA: Lo hai già detto per lo stadio.

BERTOLDO: A questo grande artista non basta uno stadio.

ARCIDUCA: Il concerto?

BERTOLDO: Secondo la critica o secondo il pubblico?

ARCIDUCA: Entrambi.

BERTOLDO: Secondo il pubblico in delirio il tenore conserva la voce d’oro di un ragazzo. Secondo la critica è la solita insalata di romanze e vecchie canzonette, che gli fanno guadagnare un mucchio di soldi ma non impegnano più di tanto la provata ugola del Nostro.

ARCIDUCA: E secondo il tenore?

BERTOLDO: Ciò che dice ai cronisti o ciò che pensa realmente?

ARCIDUCA: Ambedue le cose.

BERTOLDO: Ai cronisti dice: «Una serata tra le più riuscite della mia lunga carriera». In realtà pensa: «Un altro di questi strapazzi, mi si blocca il si bemolle e addio monti sorgenti».

ARCIDUCA: Vedo dunque che vai a teatro…

BERTOLDO: Sicuro che ci vado. Non mi perdo una novità, una ripresa, una replica.

ARCIDUCA: Come era la commedia?

BERTOLDO: Originale l’idea, interessanti le intenzioni, fragile l’impianto, debole il dialogo.

ARCIDUCA: E l’interpretazione?

BERTOLDO: Complessivamente inaccettabile.

ARCIDUCA: Purtroppo…

BERTOLDO: Purtroppo vuoi la regia pasticciona vuoi la cattiva serata della protagonista hanno indisposto gli spettatori.

ARCIDUCA: I quali?

BERTOLDO: I quali in parte hanno abbandonato la sala alla fine del secondo atto.

ARCIDUCA: E i rimasti?

BERTOLDO: I rimasti hanno manifestato scontento e disapprovazione con fischi e zittii.

ARCIDUCA: Gli altri?

BERTOLDO: Bene gli altri.

ARCIDUCA: La critica, chi rimpiange?

BERTOLDO: Senza andare tanto indietro rimpiange autori come Plauto e Molière e interpreti della statura di una Eleonora Duse.

ARCIDUCA: Invece?

BERTOLDO: Invece constatiamo dolorosamente una inopia di creatività…

ARCIDUCA: Inopia?

BERTOLDO: Povertà, indigenza, miseria, ristrettezza, bisogno di creatività…

ARCIDUCA: Quanto agli attori principali?

BERTOLDO: Si sente la mancanza di una scuola dura e severa. La televisione li ha lusingati con il denaro e la falsa popolarità.

ARCIDUCA: E ancora, sempre secondo la critica…

BERTOLDO: Li ha omologati, omogeneizzati, resi tutti uguali e tutti mediocri.

ARCIDUCA: Ecco dunque spiegate…

BERTOLDO: Ecco dunque spiegate le ragioni della crisi.

ARCIDUCA: Per non parlare della… delle…

BERTOLDO: Della pubblicità e delle sponsorizzazioni, che vedono gli attori umiliati nelle vesti di uomini-sandwich.

ARCIDUCA: Uomini che?

BERTOLDO: Non si usano quasi più: erano quei disoccupati che per quattro lire portavano sulle spalle i cartelloni réclame della nuova rivista al Manzoni o dei saldi per rinnovo locali.

ARCIDUCA: Che faresti per risolvere la crisi del teatro?

BERTOLDO: Il pubblico entra in sala senza pagare, assiste alla recita e alla fine fa la coda alla biglietteria. «Le è piaciuta la commedia?» Sì. La cassiera stacca il biglietto: «Cinquanta euri». A me è piaciuta così così. «Venti euri». Non mi è piaciuta affatto, è una solenne schifezza. «Si accomodi, non deve nulla». Naturalmente è richiesta la sincerità.

Published by
Marco Benedetto