New York. “Il Metropolitan Museum ha un Michelangelo e non lo sa”

La Testimonianza di San Giovanni Battista

Il Metropolitan Museum of Art di New York ha un Michelangelo finora sconosciuto. Almeno di questo è convinto Everett Fahy, ex direttore del dipartimento Capolavori della Pittura Europa. La tela al centro della “scoperta”, la “Testimonianza di San Giovanni Battista”, risale al 1510 circa, e finora la sua partenità era stata attribuita a Francesco Granacci.

«Io so benissimo che Michelangelo, come Van Gogh, è uno di quegli artisti su cui si scatenano le idee più diverse, e che adesso ci sarà chi dirà: ecco un´altra idea assurda. Ma io sono più che convinto», spiega il professore. Secondo Fathy il pittore pose le prime pennellate nel 1506, due anni prima che iniziasse gli affreschi della Cappella Sistina a Roma.

Per soli 150 mila dollari il museo acquistò l’opera nel 1970 a un’asta da Sotheby’s, a Londra. Adesso però se venisse accertata l’autenticità della mano di Michelangelo, il quadro sarebbe stimato per non meno di 300 milioni di dollari. Sarà la comunità di storici dell’arte a valutare la tesi di Fathy, i cui particolari sono contenuti in un articolo di 65 pagine sulla rivista italiana “Nuovi studi”, dal titolo «Un Michelangelo dimenticato?», e su quella americana “ArtNews”.

Dalle colonne del New York Post arrivano le sei prove che dimostrano la presunta illuminazione di Fahy. L’ambientazione della Testimonianza di San Giovanni Battista è una cava di marmo, elemento che potrebbe essere ricondotto ai viaggi che Michelangelo faceva a Carrara alla ricerca dei materiali per le sculture. Inoltre all’esame ai raggi X le pennellate appaiono decise e lasciano intendere che si tratti di una persona dal tocco convinto.

Il Battista ricorda un disegno di Michelangelo che si trova al Louvre di Parigi e nella scena a sinistra appare un personaggio che assomiglia al “Filosofo” di Buonarroti. Sulla destra, invece si trova una donna che assume la stessa posa dell’uomo nel Tondo Doni. La tela è stata dipinta ad olio, con una tecnica sconosciuta a Granacci.

Per ora questi rappresentano solo degli indizi e chissà se davvero il Metropolitan Museum ha custodito e “ignorato” per anni un’opera così importante.

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