MONACO DI BAVIERA – L’Alte Pinakotek di Monaco, uno dei più ragguardevoli musei d’Europa ha deciso di salutare i suoi 175 anni di fondazione con la celebrazione d’un quadro che torna al museo dopo un lungo restauro. Si tratta de La Visione di San Bernardo, di Pietro Perugino, uno dei suoi indubbi capolavori, da tempo emigrato ed acquistato per questa stessa istituzione, in tempi emblematici, dal Re di Baviera stesso, Ludwig I.
La mostra principale s’intitola “Perugino, maestro di Raffaello”. Oggi si pensa piuttosto che Raffaello sia stato allievo del padre Giovanni Santi e che l’incontro con Perugino sia avvenuto come in una sorta di fratellanza ideale. Lo dimostra qui la vicinanza-confronto, con alcuni disegni, che lascian intendere in fondo quale fosse la loro differente visione della pittura spirituale ed idealizzata.
Scrive Marco Vallora su La Stampa: Perugino più sentimentale e come raddolcito dal suo talento naturale. Raffaello più sperimentale ed inquieto. Certo, non c’è dubbio che quando Ludovico di Baviera acquista, ad una somma importante, il «suo» Perugino, pur sapendo che è Perugino, lo compra probabilmente perché non trova sul mercato un Raffaello disponibile (per la Madonna della Tenda seppe attendere oltre vent’anni di trattative) e quell’incantata visione virginale gli pare colmare un incolmabile vuoto. Imperdonabile, per il gusto palatino. Popolarissimo al suo tempo (tra pittori non meno virtuosi e richiesti.
Del resto esce dalla prestigiosa bottega del Verrocchio, dove ha accanto un sensazionale garzone, dal nome Leonardo e compagni di strada che si chiamano Botticelli e Ghirlandaio) risulta fin troppo vessato dalle committenze ricche. Al punto che la solita scolastica detrattiva vuole che con la sua fiorente bottega sia divenuto in tarda età una sorta di fabbrica stereotipata d’opere-clone. Così conobbe presto un’eclissi di notorietà assai ampia. Sino a quel tardo Ottocento, purista e nazareno, che lo rese quasi proverbiale: «pittor divino» e ispiratore-principe di quel gusto un po’ bamboleggiante e mièvre, immaginetta, ch’è tipico di certo tardo Ottocento oleografico.
