Settis contro Fuksas. “Bondi-Galan-Ornaghi avrebbero insabbiato il Rinascimento”

Salvatore Settis contro Fuksas, Benetton e Bondi-Galan-Ornaghi avrebbero fermato il Rinascimento

Un duro attacco alla “Nuvola” di Fuksas e alla politica urbanistica del Comune di Roma è lanciato da Salvatore Settis dalle pagine di Repubblica, sotto il titolo: “Fuksas, Benetton e la tutela dimenticata“. Settis è stato presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e direttore della Scuola Normale di Pisa.

Settis esordisce con queste parole: “«UNA soluzione in chiave contemporanea di problemi causati dalle leggi sul condono»: questo e non altro è la contestatissima “cupola” di Massimiliano Fuksas secondo il giudizio dell’architetto Federica Galloni, direttore regionale per i beni culturalie paesaggistici del Lazio.

“Nella sua foga auto-assolutoria, l’architetto Galloni ci informa che «il cantiere del megastore di Benetton è un immobile non vincolato, sul quale il Ministero si limita a dare parere consultivo», che naturalmente «può essere disatteso», e che comunque è meglio la sopraelevazione con cupola piuttosto che «un ammasso di impianti e volumi tecnici, legittimo in quanto sanato da condono». Le parole sono state raccolte per Repubblica del 22 febbraio da Francesca Giuliani.

Settis non accetta la posizione di Federica Galloni e sostiene che,

“oltre all’eventuale vincolo su singoli edifici, il solo che ella sembra conoscere, la legge prevede anche un vincolo contestuale, quale risulta per esempio da determinati contesti urbani, quando vengano considerati meritevoli di tutela. La vera domanda è dunque: il centro di Roma è meritevole di tutela? La cupola di Fuksas è a un passo da quella di San Carlo al Corso, la più alta della città dopo San Pietro, firmata da Pietro da Cortona nel 1669: basta per “far contesto”, nella visione dell’architetto Galloni?”

L’invettiva prosegue come un carro armato. Settis è una icona della sinistra, ma non perdona nessuno:

“Il nome di Fuksas e l’invocazione a «un’architettura di qualità» sollevano i soprintendenti dai loro compiti di legge? Da troppo tempo le nostre città sono paralizzate da un patchwork normativo, che distribuendo le competenze autorizzative tra comuni e soprintendenze lascia spazio ad arbitri di ogni sorta”.

Settis non accetta il mantra

“che bisogna avere il “coraggio” di innestare il contemporaneo nel tessuto storico delle nostre città”.

L’Italia

“ha le più squallide e incontrollate periferie d’Europa, esito infelicissimo della mancata applicazione della legge urbanistica del 1942 e del suo mancato raccordo con la tutela dei paesaggi”.

E allora la domanda è:

“se davvero vogliamo nuove architetture di qualità, [perché] esse non debbano riscattare le periferie, anziché (come accade) invadere i centri storici, avviando un processo di omogeneizzazione,una vera e propria periferizzazione delle loro gloriose architetture”.

Ammonisce Settis che

“non si tratta di discutere sul gusto personale, ma sulla legalità e sul rispetto delle regole. […] Un pubblico funzionario non può giocare in ritirata, cestinando il principio della tutela contestuale dei centri storici, e autorizzando di fatto qualsiasi “novità” negli edifici non individualmente vincolati”.

Settis alza il tiro:

“Certo è difficile chiedere il rispetto delle regole ai funzionari di un ministero devastato dalla micidiale sequenza Bondi-Galan-Ornaghi, un terzetto che, fosse stato a Firenze nel Quattrocento, sarebbe riuscito a insabbiare il Rinascimento”.

L’attacco si fa diretto:

“È in questo clima che l’architetto Galloni, a quel che pare cedendo a pressioni di parte, non ha messo il vincolo a una preziosa commode del Settecento, ed è stata per questo rinviata a giudizio (l’udienza preliminare è fissata al 26 marzo), ma prontamente festeggiata da Ornaghi che l’ha confermata nel suo ufficio con quattro mesi di anticipo, pochi giorni prima di concludere il suo inglorioso mandato”.

Ancora contro Fuksas:

“Se lo Stato è in fuga, il Comune avanza: e infatti il soprintendente comunale Umberto Broccoli non esita a paragonare Fuksas a Bramante e proclama quello che (per lui) è il principio supremo della tutela: «Noi non siamo in condizione di giudicare». Carlo Gasparrini, urbanista e consulente del Comune, qualche dubbio deve averlo, se ha dichiarato che la cupola di Fuksas «quando sarà illuminata avrà anche una sua bellezza», percepibile evidentemente solo by night; comunque «quel che c’era prima era molto peggio». Prese nel loro insieme, queste dichiarazioni hanno un senso solo: mano libera sulle città, meglio non giudicare e lasciar fare”.

Settis si chiede: “Lasciar fare a chi?”.

Amplia l’orizzonte e alza ancora il tiro. questa volta su Benetton:

“A Venezia da mesi si combatte contro il progetto di ristrutturazione di un insigne edificio del primo Cinquecento, il Fondaco dei Tedeschi, con sopraelevazione, terrazza panoramica, scale mobili nel cortile eccetera, secondo il progetto di un’altra archistar, Rem Koolhaas. Anche lì, come nell’edificio di Roma, a determinare il riuso e il “segno forte” di un architetto è la nuova destinazione commerciale dell’edificio. Ma dobbiamo davvero prendercela (solo) con gli architetti? Non sarà ancor più importante il committente, tanto più che nell’un caso e nell’altro è lo stesso, Benetton? “Padroni in casa propria” risponderebbe Berlusconi“.

Amara conclusione:

“In questa Italia dove contano solo i padroni abbiamo disimparato responsabilità e dignità, abbiamo perso memoria storica”.

Tra il laico Settis e il cattolico Ornaghi si invertono le prospettive. Rimpiange Settis la lezione dimenticata

“di un sovrano di Roma, papa Gregorio XIII (quello del calendario gregoriano), che nella costituzione apostolica Quae publice utilia et decora(1574) vieta le sopraelevazioni nel centro di Roma, proclamando l’assoluta priorità del bene e del decoro pubblico sulle cupiditates e sui commoda [ interessi, profitti] dei privati. Da quella tradizione vengono le nostre leggi di tutela: il neoguelfo Ornaghi, tanto ossequiente a papi e cardinali, potrebbe riposarsi presto dai suoi ozii di ministro leggendosi, tanto per curiosità, non dico il Codice dei Beni culturali, ma almeno il bel latino di Gregorio XIII”.

 

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Marco Benedetto