ROMA – Chi è Angelo Scola, nome italiano tra i più quotati a diventare il prossimo pontefice? Ne fa un ritratto Carlo Verdelli su Repubblica:
A scorrere la carriera di Angelo Scola, che entrerà in conclave come l’italiano con più possibilità di uscirne Papa, tutto viene in mente tranne che il grigiore. Il rosso porpora, piuttosto, visto che diventa vescovo di Grosseto a 50 anni, patriarca di Venezia a 61, arcivescovo di Milano a 69. Le ultime due cariche, prestigiosissime, hanno dato alla Chiesa cinque dei nove pontefici del Novecento. E nessuno, da secoli e secoli, le ha ricoperte entrambe. Lui sì, e non sarà un caso se i bookmakers inglesi lo piazzano tra gli aspiranti meglio quotati, mettendo nel conto anche quanto sia “stimato dai più stimati”, a cominciare da Ratzinger, con il quale ha una consuetudine antica e un’amiciziacementata da piccole affettuosità.
Quando l’11 febbraio la telefonata di un collaboratore lo avvisò delle dimissioni del “suo” papa, Scola vacillò: “Impossibile, impossibile…” […] Poi stordito si accasciò: “È come prendere un pugno nello stomaco”. Dice Francesco Ferranti, coetaneo di Scola di Malgrate (Lecco). «L’ho visto all’ultima via Crucis,su Telenova, e non era il don Angelo che conosco io», «Era preoccupato, pensieroso. Secondo me non ci tiene a fare il papa. Ma sa, non è lui che comanda». E da ragazzo comandava? «Era il primo della classe, passava i compiti agli altri. Ma non era un tipino calmo. Una volta è arrivato in ritardo alle orazioni, e la suora l’ha messo in ginocchio sui chicchi di granoturco. È una cosa che lui ha sofferto tantissimo, borbotta che ha ancora i segni di quella punizione».
Aveva i capelli rossi, Scola bambino. Viveva in una casetta nella parte alta del paese (allora mille anime, oggi 4 mila con gli immigrati), dove il lago di Como finisce. Famiglia povera: padre (Carlo) camionista e socialista nenniano, massimalista al punto di non condividere l’apertura del leader al centrosinistra; madre (Regina Colombo) casalinga, molto devota (“insieme al latte mi ha passato la fede”); un fratello più piccolo e più dolce di lui, Pietro, che poi sarebbe diventato maestro elementare e sindaco per la Dc. Morì trent’anni fa in un incidente stradale. Scola fu folgorato a fine anni Cinquanta da don Giussani, di cui diventa discepolo prediletto e alfiere della neonata Comunione e Liberazione. Quello di Malgrate è sì un secchione, come dicono gli amici di allora, ha una memoria prodigiosa, studia latino e greco talmente ad alta voce che al piano di sotto non ne possono più. Ma è anche un ragazzino introverso, taciturno, capace di mattane come tuffarsi d’inverno nel lago e fare la traversata fino a Lecco, un chilometro scarso ma ci sono le correnti. Certo che va a messa, come tutti, compreso il padre socialista, ma non è un bigotto (“stavo in ultima fila, con una certa voglia di uscire”).
Al liceo classico si butta su Dostoevskij, Faulkner, persino Kerouac. Prova anche l’ebbrezza di un amore, fidanzato con una ragazza che ricordano molto bella. Finirà con lui che sceglie la strada del Signore e lei lo stesso: monaca di clausura tra le trappiste, di cui diventerà badessa. La sintesi la fa un amico di quei primi tempi, Cagliani Alfredo, grafico pubblicitario pensionato dai computer: “Angelo aveva qualcosa più di tutti noi. E qualcosa è anche poco. È partito col piede giusto sin da piccolo”. Scola diventa prete a 29 anni. Entra per la prima volta, dentro il cuore vaticano: rettored ell’Università Pontificia Lateranense a Roma, che riforma e rilancia con la determinazione di un caterpillar. A Milano, che è la più grande diocesi del mondo, con 1107 parrocchie, ha usato lo stesso metodo.
Se la gestione precedente di Tettamanzi aveva praticamente lasciata invariata la curia di Martini, lui in pochi mesi ha cambiato tutti i sette vicari di zona e snellito l’organizzazione, accentrandola. Inoltre ha messo il suo stemma vescovile al cancello dell’ingresso, a fianco del Duomo. Prima, non c’erano stemmi. Il suo è un programma: “Sufficit gratia tua”. Potente nell’azione, piuttosto imponente nel fisico, 71 anni e non sentirli, tranne che per qualche violento mal di testa e un po’ di artrite all’indice della mano sinistra, Scola vive nella stessa stanzetta che fu di Tettamanzi, al secondo piano di un quadrilatero lungo e basso, con il lato corto su piazza Fontana, con un segretario, don Luciano, prelevato da Malgrate e con cui parla in dialetto lecchese, più quattro “memores domini”, suore laiche appartenenti a Comunione e Liberazione (Tettamanzi aveva una perpetua). Di Formigoni, ciellino e per di più lecchese, dice: “Negli ultimi vent’anni, l’avrò visto sì e no per gli auguri di Natale”. Un vescovo non può avere appartenenze, continua a ripetere. Quanto alle famose lezioni di filosofia e di etica dispensate da lui e don Giussani negli anni Settanta al nascente Berlusconi, e ai suoi manager Dell’Utri e Confalonieri, la presa di distanza è ancora più netta: capitò una volta sola. A occhio, non deve essere servita a molto. In compenso, il cardinale tifa Milan e coltiva una predilezione mai sopita per Kakà. Giornata tipo. Sveglia alle 6, con due preghiere, L’Angelus e Ti adoro mio Dio.
Messa alle 6 e mezza, colazione, agenda stracolma di impegni. Non ha telefonino, ma è attivissimo sui nuovi media: un sito a suo nome, una pagina Facebook piuttosto desolata, una discreta attività su Twitter (ultimo cinguettìo: “Non come voglio io, ma come vuoi tu”. La sera, cena con acqua frizzantissima e preferibilmente cose salate, acciughe, olive, molto apprezzate le polpette. Poi scrittura, fino a notte. E prima di dormire, l’orazione più amata, il Memorare, un consegnarsi alla clemenza della Madonna, scritta da san Bernardo di Chiaravalle e fatta propria anche da Madre Teresa di Calcutta.
