ROMA – Blitz quotidiano vi propone oggi come articolo del giorno quello di Massimo Mucchetti per Il Corriere della Sera dal titolo “Demagogia sull’acqua”. Mucchetti spiega che i due referendum sull’acqua non affrontano nel giusto modo due problemi veri, lanciati dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dei servizi idrici, divenuto legge con il governo Berlusconi.
“I due referendum sull’acqua affrontano in modo sbagliato e demagogico due problemi veri, aperti dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dei servizi idrici convertito in legge dal governo Berlusconi con voto di fiducia, contrari Pd, Idv e Udc, e da un altro decreto del 2006.
La propaganda referendaria denuncia la privatizzazione dell’acqua. Ma è una forzatura. Il decreto Ronchi, l’abbiamo scritto nel 2008 e lo ribadiamo oggi, non tocca la proprietà delle risorse idriche. L’acqua è un bene pubblico e tale resta. Il decreto mette in gioco il servizio e conferma la proprietà pubblica di acquedotti, fogne e depuratori, ancorché con qualche lacuna: i regolamenti d’attuazione, infatti, non chiariscono a quali condizioni le migliorie apportate dai gestori passino al concedente pubblico al termine della concessione e nulla dicono sulle infrastrutture già devolute alle municipalizzate e poi confluite addirittura in società quotate come A2A.
Liberalizzare i servizi idrici, monopoli naturali come le autostrade, non è facile. Se ne possono solo dare in concessione la costruzione, lo sviluppo e la gestione per un congruo periodo attraverso gare trasparenti e successivi, severi controlli. Un Paese senza pregiudizi farebbe gare aperte a tutte le imprese di accertata solidità e competenza senza badare alla natura pubblica, privata o mista delle proprietà . L’articolo 23 bis del decreto e i successivi aggiornamenti, invece, tendono a privilegiare la mano privata. Con una certa confusione. Essi infatti dispongono l’affidamento dei servizi idrici a soggetti privati attraverso gara europea o l’affidamento a società a capitale misto nelle quali un socio industriale privato, scelto attraverso gara, abbia almeno il 40%. La norma costringe inoltre i Comuni azionisti di ex municipalizzate quotate in Borsa a interrompere la concessione, mettendo a gara il servizio idrico che già svolgono (e non sempre male). Oppure, se vogliono evitare la gara, a ridurre al 30% entro il 2012 la loro partecipazione all’intera azienda (che fa anche molto altro). Alla prima gara, tuttavia, possono partecipare anche i gerenti uscenti, in genere pubblici. Insomma, una Babele. Senza nemmeno il faro di un’Autorità degna. […]
