ZAKHO (Kurdistan iracheno) – Il calvario delle donne yazide, schiave sessuali della Jhad si riassume in queste poche nozioni: chiuse in una casa in un paese sconosciuto, nel territorio controllato dal Califfato islamico, lo Is, ex Isis; finestre sprangate; tre stanze per gli stupri, stuprate anche tre volte al giorno.
Vengono alla mente le cronache dell’ultima guerra in oriente e dei bordelli giapponesi che offrivano donne coreane ai loro militari.
I terroristi hanno lasciato loro i cellulari, perché possano comunicare alle famiglie lo stato di orrore in cui vivono. Attraverso il telefono cellulare Pietro Del Re di Repubblica ha parlato con una di loro, una ragazza di 17 anni di un gruppo di 40 donne, tutte yazide, la cui unica speranza è che
“gli americani si sbrighino a farli fuori tutti, o che mi centrino con una loro bomba, perché io non so quanto resisterò. Hanno già ucciso il mio corpo. Stanno uccidendo anche la mia anima”.
Mayat, nome di copertura della immensa vergogna, ha 17 anni e “la voce di una bambina”. Pietro Del Re le ha parlato dalla tenda dei suoi genitori, che hanno trovato rifugio in un campo profughi nel Nord del Kurdistan iracheno. Mayat parla un po’ di inglese.
“Ho troppa vergogna per raccontare cosa mi fanno e non conosco neanche le parole per descrivere il mio martirio.Anche se dovessi sopravvivere, non saprei come cancellare dalla mia mente le scene di questo orrore. È anche per questo motivo che vorrei morire subito. All’inizio chiedevamo ai nostri carcerieri che ci uccidessero, che ci sparassero. Ma siamo troppe preziose per loro”.
Racconta Pietro Del Re:
“Il 3 agosto scorso, durante l’offensiva jihadista contro Sinjar, Maya è stata rapita dai soldati dell’Is. Da allora, con altre donne, tutte appartenenti come lei alla minoranza yazida, è tenuta prigioniera in un villaggio nella piana di Ninive, a Sud di Mosul:“Non so come si chiama la cittadina dove ci hanno portate, perché siamo arrivate di notte e perché da allora siamo rinchiuse in una grande casa, con le finestre sempre sbarrate, da dove non possiamo uscire perché sorvegliate a vista da uomini armati”.
Alla domanda: cosa vi fanno? la risposta è glaciale:
“Abusano di noi”.
Seguono dettagli:
“Nella grande casa saremo una quarantina. E siamo tutte vittime. I nostri aguzzini non risparmiano neanche quelle che hanno un figlio piccolo con loro. Né salvano le bambine: alcune di noi non hanno compiuto neanche 13 anni. Sono quelle che reagiscono peggio a questo schifo. Ce ne sono alcune che hanno smesso di parlare. Una s’è strappata i capelli e l’hanno portata via. Alcune di noi hanno provato a impiccarsi, ma nessuna c’è ancora riuscita.“All’ultimo piano della casa ci sono tre stanze per le violenze. Le stanze degli orrori”.
Gli stupri si ripetono
“Anche tre volte in un giorno. Ci trattano come se fossimo le loro schiave. Veniamo date in pasto a uomini sempre diversi. Alcuni arrivano addirittura dalla Siria. Alcuni sono vecchi, altri giovani. Alcuni sono vestiti come dei militari, altri indossano gli abiti degli arabi, altri ancora sono persone apparentemente normalissime. La notte, anche i nostri carcerieri ci saltano addosso.“A volte ho l’impressione di non farcela. Sento che se un giorno questa tortura dovesse finire, la mia vita rimarrebbe per sempre segnata da quello che sto subendo in queste settimane”.