ROMA – Blitz quotidiano vi propone oggi come articolo del giorno quello di Tonia Mastrobuoni, inviata a Berlino per La Stampa dal titolo “Tragedia sulle Alpi, la corsa allo scoop stravolge la notizia”.
Ogni volta che un uomo commette una strage senza un motivo apparente, c’è sempre il «momento Iago» o il «momento Raskolnikov». Non c’è cosa che spaventi di più del male inflitto senza una ragione, come accade nell’«Otello» di William Shakespeare, o perché ci si sente al di sopra della legge, come in «Delitto e castigo» di Dostoevskij. Qui il protagonista è convinto di incarnare una «straordinarietà » che «consente alla propria coscienza di scavalcare certi ostacoli», come il dovere morale di non uccidere un altro essere umano.
Il dibattito sui motivi che possano aver spinto Andreas Lubitz a trascinare se stesso e altre 149 persone nella morte, però, è offuscato da un elemento inquietante: il modo in cui vengono prodotte le notizie. Dopo una settimana passata nei luoghi della tragedia dell’Airbus, l’unica lezione che se ne può trarre è quella di un magnifico film recente, «Gone girl». La velocità con cui l’opinione pubblica cambia umore, condannando o assolvendo i protagonisti nel giro di ore, ci pone dinanzi a una responsabilità enorme, molto più grande dei cronisti di una generazione fa. Dai primi momenti della tragedia, quando sul web rimbalzò la voce su un sopravvissuto «che si muoveva tra le montagne», la strage sulle Alpi è stato un continuo, incontrollabile susseguirsi di notizie. E in un mondo che somiglia ormai a una gigantesca telecamera accesa, alimentata da voci incontrollabili, ognuno di noi dovrebbe interiorizzare la prima regola di ogni buon giornalista di agenzia. L’affidabilità è tutto, ed è più importante della velocità con cui si dà una notizia. Invece accade l’esatto opposto, per ansia di collezionare il maggior numero di clic. E perché la credibilità è un valore meno oneroso, almeno nel breve termine.
Il liceo tedesco.A Haltern am See, la scuola che aveva registrato la perdita atroce di 16 studenti e due insegnanti era già assediata da dozzine di cronisti poche ore dopo la notizia. Qualcuno ha tentato subito di corrompere dei ragazzini perché riprendessero di nascosto le scene dentro la scuola, dove i compagni delle vittime e i loro genitori piangevano, leggevano testi o poesie. Sciacallaggio? Può darsi. Ma il punto non è fare la morale ai giornalisti di cronaca nera, che agiscono e agiranno sempre nello spirito del direttore del tabloid «Bz», Peter Huth, che sostiene che «soltanto attraverso le emozioni si possono trasmettere determinate tragedie». Il punto è, piuttosto, che nel mondo della «grande diretta», distinguere il vero dal falso è diventata un’impresa titanica.
La figura del copilota. La questione è emersa soprattutto con la comparsa del «mostro» Lubitz, quando centinaia di giornalisti di tutto il mondo si sono precipitati a Montabaur per assediare la casa dei genitori, la scuola di volo, il suo ex ginnasio, i vicini. E sul web sono cominciate a comparire le notizie più incredibili, mai confermate, difficilmente smentibili: è gay, ha avuto un’amante segreta che riferisce frasi spaventose sulle sue intenzioni omicide (unica prova della relazione fornita dal cronista: una foto in cui i due compaiono insieme in un equipaggio), non è mai salito su quell’aereo; la fidanzata attuale è incinta; i suoi genitori sono sul luogo della tragedia.
Ma le perversioni maggiori sono avvenute sulle sue malattie e sul presunto video degli ultimi secondi, visto da due giornali, mai diffuso. La procura di Duesseldorf ha escluso che avesse problemi «organici», dunque un difetto di vista. Ma chi ha scritto quella notizia, continua a scriverla. E gli inquirenti francesi hanno smentito che il video sia vero e che si tratti di materiale raccolto sul luogo della tragedia. Però i due giornali insistono. Uno dei due rimprovera persino alle procure di aver saputo da subito che il copilota fosse rimasto solo e di non averlo comunicato, «regalando» lo scoop al «New York Times». Incredibile arroganza, quella di pensare che i magistrati, dinanzi a 150 morti e un caso complicato, che potrebbe costare a Lufthansa oltre 300 milioni di euro di risarcimenti, debbano rincorrere i tempi ormai folli del giornalismo. Siamo noi, forse, che dovremmo imparare a prenderci più tempo per distinguere il rumore dal brusìo.