Blitz quotidiano vi propone oggi come articolo del giorno quello di Jacopo Iacoboni per La Stampa il quale affronta la nemesi della Lega.
Una mela marcia. Poi un’altra. E un’altra ancora. Un frutteto. Ancora piccolo, ma và a sapere. «Dobbiamo smetterla di nasconderci le cose e far finta che il problema non esista. Una questione morale ormai lambisce anche noi, e dobbiamo evitare che degeneri». L’uomo che parla non è certo un antipatizzante, né un ultimo arrivato, ma un militante della prima ora della Lega, il sindaco di Treviso e segretario regionale del Carroccio in Veneto, la sua cassaforte elettorale, un posto dove la Lega in certi luoghi sfonda il settanta per cento. Gian Paolo Gobbo in questi giorni ha assistito prima sorpreso poi, dice, «sgomento», alle inchieste che cominciano a toccare leghisti di nord est, e ha avuto il fondato timore che anche in Veneto stesse succedendo qualcosa che s’era già intravisto in alcune vicende lombarde, o emiliane. Così ha deciso di parlare e rompere quello che è un autentico tabù nel suo partito, il mito della legalità che si sta incrinando: «Sia chiaro, sono situazioni border line, episodi per lo più singoli, spesso periferici, quelli che ci toccano; ma hanno un effetto devastante sia sulla realtà del partito, sia sull’immagine che proiettiamo all’esterno». L’analisi è semplice: «Purtroppo da un po’ di tempo, complice l’allargamento del partito, non controlliamo più bene gli uomini. Prima, per dire, quattro o cinque anni fa, io conoscevo tutti i dirigenti leghisti, tutti. Vuoi per gli eventi nazionali a Milano, vuoi per Pontida, o il lavoro in Veneto. Oggi no. Abbiamo 120 sindaci, 4 province, centinaia di amministratori… è evidente che questo rischia di allentare i filtri, e non è un’excusatio non petita, la mia». […]
