ROMA – “Debito senza freni e noi pensiamo ai kazaki.” Libero apre (e si schiera) sul caso Ablyazov cambiando però il punto di vista. Dimissioni Alfano? Alma Shalabayeva? “Il palazzo, inteso come Parlamento e governo, è lontano dalla vita concreta degli italiani. Una potenza industriale – scrive Maurizio Belpietro – che ogni giorno si mostra impotente di fronte alla crisi, un’Italia in cui gli unici indicatori che salgono sono quelli che riguardano la disoccupazione, il debito pubblico e le tasse, può permettersi di passare giorni a discutere delle parole di Calderoli e dell’espulsione di una donna giunta clandestinamente a Roma?”
Blitz quotidiano vi propone come articolo del giorno “Debito senza freni e noi pensiamo ai kazaki”, di Maurizio Belpietro, pubblicato su Libero il 17 luglio 2013.
Nel rissoso Parlamento uscito dalle ultime elezioni, è possibile che nessuno si renda conto che il Paese cammina su un filo sospeso su un baratro e che se non si fa qualcosa si corre il rischio di precipitare nel vuoto? Gli ultimi dati diffusi ieri sono drammatici: a maggio il debito è aumentato di 33,4 miliardi rispetto al mese precedente, cioè più della manovra che a novembre del 2011 Mario Monti fece per «salvare» l’Italia. In totale fanno 2 mila 74,7 miliardi di euro: un record. Nei primi cinque mesi dell’anno le tasse sono cresciute dello 0,7 per cento, facendo entrare nelle casse dello Stato 143,171 miliardi di euro, ma nel solo mese di maggio le entrate sono diminuite del 2,2 per cento, vale a dire che il Fisco ha incassato quasi un miliardo di meno. Segno evidente che il motore del Paese è imballato e che, nonostante l’in – troduzione di nuove tasse, a causa del calo dei consumi si spende meno e si pagano meno imposte. Cala infatti il gettito Iva, ma scendono anche l’im – posta di registro e quella ipotecaria, cioè le tasse che un acquirente versa nel momento in cui compra una casa. Tanto per proseguire con parole di conforto, l’Inps segnala che quasi la metà dei pensionati prende meno di mille euro e circa un terzo poco più di 500. Cifre che rivelano una sola cosa e cioè che il cinquanta per cento di chi si è ritirato dal lavoro è alla canna del gas. Come se non bastasse, l’Ocse ci dice che il 53 per cento dei nostri giovani è precario e chi lavora prende meno che altrove, infatti quanto a retribuzioni siamo ventesimi su trenta Stati censiti. Altrove, cioè nei cosiddetti Paesi normali, di tutto ciò si parlerebbe e soprattutto si agirebbe con grande urgenza.