ROMA – Morire per Tripoli? Siamo a un passo da una nuova e sanguinosa “guerra umanitaria”? Sono questi gli interrogativi che si pongono i leader internazionali guardando lo scenario libico. E sono le domande a cui cerca di rispondere Vittorio Zucconi, nel pezzo che Blitz vi propone come articolo del giorno.
“Il nostro piccolo mare che non vuole morire torna a risucchiare un mondo che sempre vorrebbe ignorarlo e sempre è costretto a guardarlo. Nella Casa Bianca che tentava di volgersi verso il Pacifico e l’Asia, nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nelle cancellerie delle potenze europee di prima grandezza, governanti, diplomatici e generali devono ruotare di nuovo il mappamondo e puntare il dito su quella che sembra una pozzanghera e ridiventa un calderone che ribolle di ipotesi di interventi militari diretti o indiretti.Oltre le cronache, le immagini raccapriccianti, le ipotesi, le domande che oggi si impongono sono: intervenire o no? Fare un’altra guerra, magari “umanitaria” o no? Morire per Tripoli? Il mattatoio del “saggio” e “amico” Gheddafi che sta uccidendo una nazione per salvare se stesso è una guerra civile, per ora, ma le guerre civili in questo bacino di storia violenta hanno la brutta abitudine di trascinare con loro chi sembra estraneo, ma ha una mano, magari nascosta, nell’ingranaggio. Anche nella Jugoslavia disintegrata, che sul Mediterraneo orientale si stendeva, era una macelleria etnica interna: eppure l’America lontanissima, poi la Nato e l’Europa, ne furono risucchiati, generando quella dottrina dell'”intervento umanitario” che da allora significa nulla e dunque tutto (…)“.