IL CAIRO – Dopo neanche un anno dalla sua elezione, il presidente egiziano Mohammed Morsi, dei Fratelli Musulmani, deve fronteggiare l’opposizione di milioni di manifestanti e soprattutto dell’esercito. Su La Stampa, Francesca Paci ricostruisce un anno e una settimana di passione per l’Egitto, in un reportage dal titolo “I 370 giorni del Faraone”, che vi proponiamo come articolo del giorno:
“Le transenne intorno alla sede bruciata dei Fratelli Musulmani al Muqattam, la montagna a ridosso del centro del Cairo, raccontano meglio di mille analisi quella che oggi sembra a tutti gli effetti la parabola discendente del primo presidente islamista democraticamente eletto nel mondo arabo nonché della sua potente casa madre, l’ottuagenaria organizzazione fondata da Hasan al Banna proprio qui in Egitto.
«Abbiamo dato a Morsi la patente ma lui non sa guidare» ripete da giorni il leader dell’opposizione Mohammed el Baradei. Dopo l’ultimatum dell’esercito, il suo ex sfidante Ahmed Shafik gli concede al massimo «una settimana di vita politica» mentre i ragazzi di Tamarod, anima e corpo della oceanica manifestazione di domenica, prevedono uno scenario ancora più clamoroso, «la scomparsa dei Fratelli Musulmani». Siamo a fine corsa?
Eppure solo un anno fa Mohammed Morsi, non brillantissimo ma certamente uno dei più disciplinati membri della Fratellanza, veniva acclamato dagli egiziani come il presidente della rivoluzione, prima di essere nominato uomo dell’anno dalla rivista «Time» (che poi ci avrebbe ripensato). Allora anche molti liberal si schierarono con lui contro il candidato dell’ex regime Shafik, portando vittoriosamente a tredici (il 51%) i sei milioni di voti irriducibili su cui poteva contare. In realtà , dopo aver conquistato il 47% dei seggi in Parlamento, i Fratelli Musulmani avevano già iniziato a perdere terreno bruciando parecchi milioni di consensi sull’altare del potere.
Com’è accaduto che l’astro del professor Morsi, formatosi in una università americana ma fiero della velatissima consorte Najila, si smorzasse tanto velocemente?
I primi passi erano apparsi promettenti a quella piazza Tahrir che oggi brandisce la sua foto bannata da una X rossa, con il programma di cento giorni per rilanciare l’economia e restituire all’Egitto un posto sul palcoscenico internazionale. Ma già dopo il fortunato ruolo di mediatore nella crisi di Gaza, a novembre 2012, Morsi aveva incrociato violentemente le armi con l’opposizione forzando la mano sul referendum per la Costituzione scritta dagli islamisti e insinuando il dubbio di voler mascherare con la diplomazia estera la propria incapacità in politica interna e l’avidità di potere dei Fratelli Musulmani. Anche perché, nel frattempo, la disoccupazione balzava al 13%, la crescita si fermava al 2,2%, il prestito del Fondo Monetario Internazionale si arenava in un infinito rinvio e l’Egitto, a corto di benzina e di elettricità , guadagnava il 34° posto nella nefasta classifica dei paesi guidata dalla Somalia.
«Morsi è una marionetta, un utile incapace messo lì dai boss della Fratellanza, pare che da anni prenda antidepressivi in seguito a un’operazione alla testa» rivela un ex collega fuoriuscito dall’organizzazione nei mesi scorsi. Alle sue spalle ci sarebbe tra gli altri il potente businessman Khairat al Shater, l’originario candidato della Fratellanza escluso dalla corsa presidenziale all’ultimo minuto, le cui guardie del corpo sono state arrestate ieri dall’esercito egiziano dopo uno scontro a fuoco. I militari hanno sempre evitato lo scontro con gli islamisti dotati di addestrate milizie ma ora l’equilibrio del potere è mutato. […]
«Sono gli ultimi giorni dei Fratelli Musulmani, libereremo il mondo dal terrorismo come gli americani con tutte le loro guerre non hanno saputo fare»” […]