ROMA – “Così Persia, Turchia e Israele si spartiscono il mondo arabo“. Titola così il Corriere della Sera nel pubblicare la lettera che il politico libanese e leader della comunità drusa Walid Jumblatt, ha inviato al giornale. La lettera, oggi 11 maggio, è stata pubblicata e Blitz Quotidiano la propone come Articolo del giorno.
Jumblatt è il capo dei drusi in Libano e controlla un pezzo di territorio sulle montagne. Da giovane passò un periodo a Roma. Jumblatt aveva anche un suo esercito personale con cui ha partecipato alla guerra civile ed è noto per essere più amico di Israele e dei cristiani che non degli islamici.
Ecco la lettera pubblicata dal Corriere:
“Caro direttore, per quanto riguarda i possibili sviluppi della situazione in Medio Oriente, dubito che Obama sarà capace di afferrare il toro per le corna e non occorre ricordare le sue scarse simpatie per i Palestinesi. Non mi sembra ipotizzabile che il presidente americano sarà in grado di spingere il governo israeliano a scegliere il cammino della pace. A queste condizioni, il territorio israeliano resterà fermamente arroccato tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano. La piena uguaglianza non potrà mai essere garantita agli arabi, affinchè possano godere di pari diritti di cittadinanza in un unico paese – sogno, questo, dei sostenitori della pace in Israele, e già in passato ideale di Edward Said”.
“Pertanto, sotto questo aspetto, Israele è destinato ad adottare un sistema di apartheid sempre più stringente. Il suo problema più pressante, difatti, è il numero crescente della sua popolazione araba, una situazione che sicuramente andrà a erodere il carattere ebraico dello stato israeliano. Personaggi come Netanyahu, Lieberman o Bennett farebbero il possibile per evitare l’unica vera strada per la pace, e cioè la restituzione delle terre ai Palestinesi, la celebre soluzione di due stati con Gerusalemme est come capitale e una vaga formula compensatoria per i profughi. Ed è per questo motivo che, in caso di nuovi negoziati, la situazione si trascinerà volutamente senza raggiungere alcun risultato”.
“Ma le cose stanno cambiando drasticamente in Medio Oriente. Dall’Iraq alla Siria sono in atto movimenti indipendentisti di vario genere. I curdi in Iraq hanno ormai raggiunto la semi indipendenza. I sunniti in Iraq sono sull’orlo di nuovi scontri sanguinosi con gli sciiti, e Maliki si sta rivelando un nuovo Saddam Hussein, in versione sciita. In quanto alla Siria, la pulizia etnica e settaria tocca in questo momento il suo culmine. I recenti massacri di sunniti sulla costa Alawita chiamata Sahel non sono altro che il preludio a stragi ancor più devastanti nelle città di Banias e Latakia”.
“Da aggiungere a tutto ciò la riluttanza dei cosiddetti amici della Siria a fornire armi all’opposizione, consentendo così al regime di Bashar di deportare interi segmenti della popolazione siriana, soprattutto la maggioranza sunnita, sia all’interno del paese, sia verso Libano, Giordania e Turchia. In quando alle minoranze di cristiani ed armeni, queste stanno già cercando scampo in Occidente. Riguardo ai drusi, il regime Alawita li sfrutta come mercenari nella lotta contro i sunniti in Siria, alla pari dei drusi di Israele che combattono contro i Palestinesi”.
“Da questo scenario da incubo emerge il conflitto di interessi o le future linee di demarcazione tra Israele e l’impero Persiano, in piena avanzata e già presente sulle sponde del Mediterraneo tramite i suoi rappresentanti, gli Hezbollah. Appare evidente che i confini Sykes-Picot si stanno disintegrando e che il mondo arabo è completamente paralizzato dalle divisioni etniche e religiose al suo interno. In una situazione di transizione come questa, tre sono le potenze principali che si contenderanno i nuovi confini della Mezzaluna Fertile: Persia, Turchia e Israele. I persiani sono pronti a tutto per mantenere la loro influenza sull’Iraq, su una Siria frammentata e sull’accesso al Sahel siriano fino al Libano, oggi roccaforte degli Hezbollah”.
“I turchi sono impegnati a normalizzare i rapporti con i curdi: nella nuova costituzione ai curdi turchi verranno garantiti i diritti di cittadinanza, e Erdogan dovrà offrire concessioni in cambio del ritiro dei combattenti curdi del Pkk verso il nord dell’Iraq. In seguito, la Turchia dovrà risolvere la questione dei curdi siriani, già residenti nelle aree autonome di confine. In quanto alla Siria, prevedo una lunghissima guerra civile, con il riemergere dell’antico scacchiere dei tempi del protettorato francese, quattro cosiddetti stati – Aleppo, Damasco, il cantone Druso e l’enclave Alawita o Nussairita appoggiata dai Persiani e dai Russi con la loro base a Tartous”.
“Fino ad oggi l’asse russo-iraniano ha fatto di tutto per sostenere il regime di Bashar e continuerà a farlo anche se la Siria dovesse finire spaccata in due. Il loro scopo principale è quello di combattere i jihadisti, o Al-Qaeda, lo slogan adottato oramai da tutti come scusa per non armare il popolo siriano”.
“Per Israele, nello scenario che va delineandosi, la migliore soluzione per evitare la pace e la creazione di due stati sovrani sarà quella di scacciare i palestinesi fuori dai confini del 1948, rispolverando il vecchio progetto di trasferirli in Transgiordania per poter rilanciare lo sviluppo degli insediamenti destinati a creare il Grande Israele. Forse lascio correre troppo la fantasia, ma con un Iraq frammentato, e una Siria divisa, la Giordania potrebbe rivelarsi la soluzione ideale per i palestinesi scacciati dai loro ghetti di Cisgiordania o dall’interno della linea verde”.
“A proposito, mi sono giunte voci di un possibile allargamento della Striscia di Gaza verso il Sinai, un progetto che potrebbe essere finanziato dal Qatar, altra destinazione possibile per i Palestinesi deportati. Come raggiungere lo scopo? Forse un massacro spettacolare di ebrei da parte di terroristi assoldati potrebbe giustificare una deportazione di massa dei palestinesi. I massacri di Bashar superano ogni immaginazione e potrebbero far dimenticare Deir Yassine”.
“Non voglio infierire col pessimismo, ma è ormai tramontata l’era dell’Andalusia, dove ebrei e musulmani conobbero una storia straordinaria di coesistenza, che offrì al mondo tesori di architettura e di cultura in ogni campo del sapere. Un nuovo genere di inquisizione sta per abbattersi sul mondo arabo. L’inquisizione dell’intolleranza, dell’analfabetismo, del fondamentalismo religioso e del tribalismo, nel triste ciclo già annunciato da Ibn Khaldoun”.
“L’inquisizione delle dispute interminabili tra sciiti e sunniti, che si rifanno a una divergenza politica sulla successione del profeta Maometto, ma sfruttate fino in fondo dall’incapacità della mente araba o musulmana di risolvere queste divergenze per guardare al futuro, allo sviluppo, all’istruzione, alla creazione di un mercato comune arabo, al rispetto della legalità, staccandosi finalmente dalla tirannia della teocrazia islamica, retriva e medievale, che si fonda su dubbie interpretazioni del Corano”.
“La grande sfida che si pone oggi è come modernizzare l’Islam. Personalmente, non ho una risposta, ma credo che ciò sarà possibile attraverso il pensiero critico, l’unico capace di rimettere in dubbio e finalmente distruggere antichi dogmi obsoleti. In quanto al futuro di Israele in queste fosche previsioni appena delineate, i suoi governanti si illudono di sentirsi al sicuro, forse per qualche anno ancora, ma la deportazione dei palestinesi non farà altro che rinfocolare odio e frustrazione, che a loro volta sfoceranno in nuova instabilità. Non vedo come le élite intellettuali e artistiche di Israele saranno capaci di vivere in un paese trasformato in ‘fortezza’”.