I supermercati minacciano: ”I buoni-pasto non li accettiamo più”: cento euro di salario cancellati

Tra un po’ ce lo rigireremo tra le mani, cercando affannossamente dove spenderlo. E’ il buono-pasto, pian piano era diventato di fatto salario, una parte sia pur piccola delle retribuzione, dello stipendio, insomma della paga mensile. Sta per diventare carta straccia, una “moneta” che nessuno accetta più, buona per farci le figurine. Chi lavora a stipendio lo sa: il mucchietto di buoni-pasto viene contrattato con l’azienda, pubblica o privata che sia: sono ottanta, cento, centocinquanta euro al mese, a seconda dell’intesa aziendale. Un mucchietto di euro che vanno a integrare appunto la busta paga, busta dentro la quale il lavoratore spesso trova appunto anche i buoni-pasto.

In origine il buono-pasto doveva servire appunto per pagare i circa cinque milioni di pasti al giorno che i lavoratori consumano fuori casa durante l’orario di lavoro (altri due milioni e mezzo pranzano in mensa e circa tredici milioni riescono comunque a mangiare a casa). In origine… Il valore dei buoni-pasto oscilla dai quattro ai dieci euro in media, difficile pagarsi con questa cifra un pasto. E quindi il buono-pasto e il suo utilizzo sono progressivamente slittati in altra direzione: ci si fa la spesa al supermercato. Non molta spesa in un mese, ma sempre ottanta, cento, centoventi euro sono… aiutano nel bilancio mensile della famiglia.

Ma i supermercati stanno per sbarrare la cassa al buono-pasto. Presto la scena usuale alla cassa, quella nella quale il conto si paga un po’ in moneta e un po’ in buono-pasto, potrebbe diventare un ricordo. Già da qualche mese i supermercati hanno abbassato la quota di buoni-pasto che accettano ad ogni pagamento (prima illimitata, poi trenta, ora circa venti euro). La “quota” punta verso lo zero. Perché? Perchè i supermercati temono di rimetterci alla fine del “giro”. Infatti di un “giro” si tratta. Funziona così: sul buono-pasto c’è scritto ad esempio cinque euro. Ma la società che si aggiudica l’appalto per emetterli e farli girare vince l’appalto se fa lo “sconto”, insomma se fa pagare all’azienda che dà il buono-pasto al lavoratore quei cinque euro meno di cinque.

Poi però l’azienda che fa girare il buono-pasto vuole rientrare e quindi dice al ristorante, bar o supermercato che accetta il buono-pasto: c’è scritto cinque ma non te lo pago cinque, te lo pago meno di cinque. In più, il ristorante, bar o supermercato viene pagato con mesi di ritardo. E quindi il ristorante, bar o supermercato dà al cliente merce che vale cinque ma meno di cinque incassa. Ristoranti e bar hanno negli anni risposto abbassando il valore delle merce offerta in cambio di quel “cinque nominale”. I supermercati non possono ovviamente farlo. Quindi stanno per chiudere la cassa al buono-pasto.

Risultato in vista? Le aziende che pagano una parte del salario di fatto in buoni-pasto pretendono lo sconto. La azienda che fa girare i buoni-pasto fa lo sconto e rientra pagando di meno il supermercato. Il supermercato non accetta più buoni pasto. E il lavoratore si ritrova in mano una parte del suo salario di fatto che non può più spendere praticamente da nessuna parte. Come se nello stipendio ci fosse una banconota da cento euro che non vale più, diventa una banconota del monopoli. Cento euro di buoni-pasto, erano cento euro pochi, maledetti e subito. Stanno per diventare cento euro in meno, cancellati e inutili.

Published by
Mino Fuccillo