di Luca
Poveri liberisti. Cornuti e mazziati: in Italia si stava cercando timidamente d’iniettare un po’ di concorrenza in un sistema asfittico e …. patatrac!, crolla il sistema finanziario USA, mentre anche il mercato UE non si sente tanto bene. Ai cinesi non è parso vero: hanno subito sottolineato la superiorità del loro modello politico su quello occidentale (con buona pace dei milioni di loro desaparecidos per fame o per cause estintive "meno naturali"). Dunque, contrordine, nostalgici e compagni: si torna a più Stato, meno mercato. E perché mai? Come al solito, in questo Paese, più si ignora e più si pontifica. Chi l’ha detto che il mercato ha fallito? A me sembra invece che sia fallito soltanto il sistema di controllo, evanescente e in contrasto con le poche ma chiare regole ferree tipiche del vero liberismo; qualcosa di ben diverso dall’anarchia a cui per troppo tempo abbiamo assistito. Che non ci sia alternativa al mercato – perché il diritto all’iniziativa economica privata non è altro che un aspetto del più generale diritto alla libertà – è storicamente dimostrato e l’hanno spiegato sul Corriere, con toni diversi ma sempre in modo efficace, Mario Monti, Piero Ostellino e Pierluigi Battista. Qui vorrei soltanto far notare che tra il liberismo e la situazione che si è prodotta negli USA esiste la stessa relazione che si pone tra fisiologia e patologia. Ora, se un corpo umano si ammala, non per questo è da buttare via, ma va semplicemente curato, e – superata la crisi – riprenderà le sue normali funzioni, probabilmente più forte di prima. Quindi l’intervento dello Stato, come quello di un medico, è necessariamente episodico, non permanente. Ma temo anch’io che quello della crisi di crescita sia un messaggio che in Italia non passerà, per l’insostenibile leggerezza del pensiero politico nostrano.
