Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Michele Salvati intitolato ”La crisi e le riforme”. Lo riportiamo di seguito:
”Negli ultimi otto anni, i primi di questo secolo, il tasso di crescita della nostra economia è stato circa il 60% di quello dell’Eurozona. Forse dovremo augurarci che questi rapporti continuino a valere anche in un prossimo futuro di recessione, se consideriamo i tassi in valore assoluto: crescere allo 0,60 quando gli altri crescono all’uno è un male; decrescere allo 0,60 quando gli altri decrescono all’uno è un male minore.
E’ una battuta, ovviamente, perché è assai più probabile che la regola sin qui seguita si inverta quando si inverte il segno della crescita: dunque che i nostri tassi di decrescita siano superiori a quelli altrui in valore assoluto. Ma la battuta mette in evidenza tre cose importanti: che siamo alle soglie di una recessione; che c’è un rapporto stretto tra la crescita o decrescita europea e la nostra; che le nostre difficoltà di crescita hanno anche un’origine strutturale. La crisi finanziaria scatenatasi in America ha compromesso il bene fondamentale sul quale si basano le economie moderne: la fiducia, la ragionevole aspettativa che i debiti saranno onorati.
Di conseguenza i canali del credito – quelli che si irradiano tra banche e istituzioni finanziarie, e poi tra entrambe e le imprese e le famiglie- si sono inariditi. Il che si riflette inevitabilmente sulla spesa – sui consumi e gli investimenti- in buona misura finanziati a credito. E potrebbe trasformare la recessione incombente in una depressione, se i livelli di attività economica e occupazione ne risentissero in modo significativo, perché in questo caso la potenziale solvibilità di famiglie, imprese, istituzioni finanziarie e banche precipiterebbe in una spirale cumulativa. Non avverrà così, probabilmente, perché le autorità americane stanno intervenendo in modo massiccio: ma basta un passo falso perché la situazione sfugga al controllo.
E poi l’onda di piena della crisi finanziaria non è ancora arrivata in Europa e le istituzioni europee sono meno attrezzate ad affrontarla, come spiega in modo semplice ed efficace Francesco Daveri su www.lavoce.info (L’Europa che non c’è, 30/09 2008). E in Italia? Sono di ieri le notizie di un intervento rassicurante del Presidente del Consiglio; della sospensione delle vendite allo scoperto delle azioni di banche e assicurazioni decisa dalla Consob; di un comunicato concertato del Ministro dell’Economia e del Governatore della Banca d’Italia: quanto potrà essere fatto sul piano interno e nei rapporti coll’Europa per affrontare la crisi finanziaria sarà fatto da autorità che si muovono all’unisono.
Ma l’Italia è il Paese in cui sinora è stata vera la mediocre regola del 60 per cento ed è per affrontare questa debolezza strutturale che, a partire dalla crisi dell’estate del 1992, si è intrapreso un ambizioso indirizzo di riforma di cui sono state parti centrali la forte riduzione della proprietà pubblica nell’economia, un (incompleto) programma di liberalizzazioni, il disegno di nuove regole che favorissero la concorrenza nei mercati dei fattori e dei prodotti. Qual è l’atteggiamento del governo nei confronti di questo indirizzo, sinora sostenuto da entrambe le coalizioni politiche che si sono alternate al potere in questi sedici anni? Il clima è cambiato.
Se vogliamo abbattere il muro del 60%, sarebbe però esiziale se di questo si profittasse per fare di ogni erba un fascio, per abbandonare programmi di liberalizzazione che nulla hanno a che fare coll’assenza di regole che ha provocato la crisi finanziaria, per favorire il ritorno di quello Stato impiccione che tanto piace alla politica”.