di Antonio
Vorrei tanto non dover piu’sentire le schiocchezze intrise di banalità degli ormai rari servizi giornalistici che parlano dell’ennesima tragedia della strada nel nostro Paese. E’ stato scritto giustamente che è un Iraq domestico se si guarda al numero delle vittime, io direi che è anche un Iraq psicologico che logora quotidianamente chi ha consapevolezza del fenomeno e un briciolo di coscienza. Ogni volta che si prende l’autovettura per fare un viaggio si sente l’insidia dei drogati e degli ubriachi al volante degli esaltati della velocità e dei camionisti a cui la legge garantisce molte scappatoie, tante impunità e qualche misera pena. L’Iraq è tutte le volte che si attraversa una strada, quando si prende la bicicletta, quando si attende la mattina l’autobus, l’Iraq domestico è la paura di tenere un bambino per mano camminando in un piccolo centro abitato. Tutto ciò perché non esiste una certezza della pena, perché siamo in una giungla dove ci ammazziamo e siamo cosi assueffati che non concepiamo neppure queste opere delittuose come omicidi, ma piuttosto come un prezzo da pagare alla rivoluzione industriale. Ogni croce, ogni mazzo di fiori appoggiato a un albero sulla strada rappresenta il dolore di amici e parenti e nello stesso tempo la responsabilità esplicita di una comunità silente e di un legislatore complice.
