Il Corriere della Sera pubblica un’intervista a Marina Berlusconi. La riportiamo di seguito:
”«Anche oggi i mercati ballano…». Marina Berlusconi si siede preoccupata, meno sorridente del solito, sul divano del suo salotto, quello dove normalmente sono appoggiati i giocattoli dei figli Gabriele e Silvio. «Unicredito?» chiede. Sì, ancora Unicredito ma anche Intesa comincia a soffrire, dicono le agenzie di stampa. Arrivano poi in rapida successione le note di Palazzo Chigi, del premier suo padre, e poi quelle del Tesoro, della Bankitalia. La situazione sembra rasserenarsi un po’. La giornata è ancora lunga. Ancora una volta il suo nome è apparso sui giornali in queste settimane per quella che si annuncia essere una svolta nella sua carriera: il 28 ottobre il patto dei soci di Mediobanca la proporrà come componente del consiglio d’amministrazione di Piazzetta Cuccia. E ancora l’altro ieri, il leader dei democratici Walter Veltroni, l’accusava di conflitto di interessi… «Peccato. Dopo anni di rispettabilissimi travagli, di primarie, di loft, di "yes we can" e "ma anche", con l’intervista al Corriere siamo tornati alla casella di partenza: a Berlusconi con coda e forcone, l’unica cosa su cui a sinistra non litigano. Ma come, ora c’è un governo che finalmente fa quello che gli italiani chiedono, cioè decide. E di governi che decidono non c’è mai stato tanto bisogno come adesso, con questo tsunami che sta scuotendo l’economia mondiale e la speculazione che ha messo nel mirino anche le nostre banche. Che l’opposizione critichi tutti i provvedimenti che ritiene sbagliati: è un suo diritto e anche un suo dovere. Ma perché tirare ancora in ballo il rischio di regime»?
Eppure sull’Alitalia Confalonieri ha detto bravo a Veltroni
«Confalonieri, come sempre, ha detto quello che pensa. Ma, Alitalia a parte, il leader del Pd mi ricorda chi guardandosi allo specchio si trova ingrassato e dà la colpa allo specchio invece di mettersi a dieta. E se posso dare un consiglio: per dimagrire non servono i girotondi, perché si consumano poche calorie. Molto più efficace correre».
L’accusa è stata però di quelle brucianti: la figlia del premier entra nel santuario della finanza italiana…
«Beh, che io sia la figlia del premier mi pare innegabile. E le dirò di più. Non sono Silvio, sono Marina, ma sono molto orgogliosa di chiamarmi Berlusconi».
Resta l’accusa sul conflitto di interesse.
«L’interesse è evidente: parliamo di una istituzione prestigiosa, in cui abbiamo investito 280 milioni di euro. Quello che non vedo invece è il conflitto. Mi ero ripromessa di non parlare prima dell’assemblea, ma visto che continuano a tirarmi in ballo… Nel sindacato abbiamo solo l’1%, ma siamo comunque tra i principali soci industriali ed eravamo gli unici non presenti in consiglio. E poi non abbiamo chiesto noi di entrare, ce l’hanno proposto, tutti i soci del patto erano d’accordo».
Con questa crisi non è il momento migliore per entrare nel tempio della finanza italiana, Mediobanca.
«Guardi, c’è finanza e finanza. C’è la finanza dei subprime, dei giocatori di poker con le carte truccate, e c’è la finanza sana, parsimoniosa, che Mediobanca rappresenta molto bene e che è un sostegno indispensabile per lo sviluppo delle imprese».
Lei ne ha conosciuto parecchi di quelli che chiama «giocatori di poker»?
«Abbastanza. Con la liquidità che abbiamo, ci hanno proposto parecchie operazioni che non esito a definire speculative. Tutte rifiutate. E poi si ricorda la bolla Internet? In quei mesi noi ricevevamo progetti di ogni genere. Poi si faceva la fatidica domanda: ma i ricavi? E gli utili? A quel punto il castello di carte cadeva. Proprio come sta cadendo oggi quella che era diventata una enorme bisca, dove girava vorticosamente carta che rendeva alcuni spaventosamente ricchi senza però creare vera ricchezza».
Ma fior di banchieri si sono trovati nella bufera.
«Per fortuna in Italia no. Aldilà della speculazione di queste ore, gli istituti italiani sembrano mostrare una salute migliore».
Però si parla di fine del capitalismo…
«Non ho ricette da dare, ma comunque non sono d’accordo. Il capitalismo sarà pure un sistema pessimo, ma ad oggi non ne è stato inventato uno migliore. E poi quello di cui stiamo parlando non ha niente a che vedere con il capitalismo vero e con i suoi principi: concorrenza, trasparenza, responsabilità, merito… Mi dica che cosa c’entrano col merito le buonuscite miliardarie di manager che hanno schiantato aziende blasonate e distrutto migliaia di posti di lavoro. Per questo resto una liberista non pentita: perché, lo ripeto, tutto questo con il capitalismo non c’entra niente».
Ammetterà che le regole non hanno funzionato.
«Mi pare evidente, e chi doveva controllare non lo ha fatto. Quindi, più regole, ma non solo. Chiediamoci se ha un senso il modo in cui oggi vengono valutate le imprese e i loro manager, basandosi su una visione di breve o brevissimo periodo. Quando un’azienda è di fronte ad una decisione strategica, deve poter avere la serenità di soppesare quali saranno gli impatti nell’arco di anni, senza essere ossessionata da come reagirà il mercato il giorno dopo. Detto questo, sa qual è il rischio? Che si ecceda nelle regole: non discuto l’emergenza, non discuto che la deregulation abbia completamente fallito, ma finita l’emergenza, non spazziamo via quei semi della cultura liberale che a fatica stavano germogliando anche da noi, perché da lì bisognerà comunque ripartire».
Una critica indiretta al governo di centro destra? La vicenda Alitalia mostra che in quanto a interventi il governo di suo padre sa bene come fare.
«No, nessuna critica, io ragiono da imprenditore, e governare tenendo conto di interessi molto più generali è tutt’altra cosa. Qualcuno ha detto che per fare politiche di destra occorrono governi di sinistra. Le categorie di destra e sinistra non hanno più senso, ma se per pura convenzione dovessimo definire di "sinistra" tutto quello che va nel senso dell’attenzione ai più deboli e ai modi per poter dare loro pari opportunità, allora questo è l’esatto contrario: un governo di destra che fa politiche di sinistra».
Ma non mi ha risposto su Alitalia.
«Beh, intanto non è stata nazionalizzata ma privatizzata. E poi sono stati mantenuti gli impegni presi: è rimasta una compagnia di bandiera, controllata da soci italiani, aperta in prospettiva ad alleanze internazionali ».
Però le spese sono state accollate allo stato.
«E quali sarebbero state le alternative? Lo Stato è giustamente intervenuto nell’alleviare una situazione che poteva essere molto dolorosa per alcune fasce di lavoratori».
Torniamo alle regole. Resta il fatto che in Mediobanca, tra le partecipazioni strategiche c’è Rcs e lei è presidente di Mondadori…
«Mi pare che il problema di potenziali conflitti di interessi dei soci sia stato affrontato in occasione del cambio di governance, e tutti si sono dichiarati soddisfatti sulle soluzioni adottate. E poi per molti anni fra gli azionisti più influenti di Mediobanca c’è stato l’editore di uno dei maggiori quotidiani nazionali, senza che nessuno gridasse allo scandalo».
Non le fa impressione entrare nel vertice della società che rifiutò la quotazione di Mediaset?
«Quella ormai non solo è storia, è preistoria. Con Mediobanca lavoriamo, e bene, da parecchio tempo».
Alla fine anche voi entrate nel salotto buono.
«Guardi, certo Mediobanca ha una storia unica e straordinaria, certo – non voglio fare l’ingenua – ha alcune partecipazioni diciamo sensibili. Ma a noi interessa soprattutto come importante diversificazione finanziaria, in quanto impresa moderna, dinamica, che guarda allo sviluppo internazionale e che ha saputo ottenere risultati eccellenti anche in momenti complessi come questo. E poi francamente, di fronte a una realtà come la Mediobanca di oggi, mi pare davvero riduttiva l’immagine del salotto. Anche se buono o direi addirittura ottimo».