L’analista filo-democratico Matt Browne pubblica su Repubblica it. un commento sulle prospettive della campagna presidenziale di Barack Obama intitolato ”Obama e lo snobismo democratico, ora deve convincere la piccola America”. Lo riportiamo di seguito:
”I sondaggi nazionali evidenziano – tra l’incredulità di molti – che John McCain al termine della convention repubblicana è in testa nella corsa alla presidenza con un vantaggio compreso tra i due e i cinque punti percentuali. Fortunatamente per i democratici, Barack Obama è ancora in testa per quanto riguarda il voto dei collegi elettorali e la sua corsa verso la Casa Bianca è tuttora più spianata di quella di McCain, benché siano numerosi gli ostacoli di rilievo che potrebbero intralciargli il cammino.
L’analista filo-democratico Matt Browne pubblica un commento sulle prospettive della campagna presidenziale di Barack Obama intitolato ”Obama e lo snobismo democratico, ora deve convincere la piccola America”. Lo ripostiamo di seguito
”L’investitura di Sarah Palin ha colto assolutamente in contropiede la campagna di Obama e ha innescato una reazione istintiva da parte dei media liberal, che ha messo in evidenza un certo snobismo nei confronti dell’America delle piccole città di provincia. I democratici reputano di avere proposte politiche migliori per gli americani della classe operaia e della middle class e di avere tutte le qualifiche per poter governare. Sarà pure vero, ma negli ultimi dieci anni i democratici hanno visto con sgomento che quegli elettori alla fine preferiscono – e spesso eleggono – un presidente repubblicano. Molti, purtroppo, concludono di non poter in nessun modo fare altrimenti, privi come sono della lungimiranza necessaria a comprendere quali siano i loro veri interessi, o preda della tendenza a lasciarsi troppo facilmente irretire dalla "politics of identity" (forma di pressione esercitata politicamente per farsi riconoscere diritti e benefici in quanto gruppo, NdT) degli strateghi repubblicani.
Questa visione del mondo è alla base della battuta derisoria buttata là da Obama quando ha detto che le piccole città americane di provincia alle prese con la globalizzazione e il cambiamento si aggrappano tenacemente alle armi e alla religione. Per i democratici ciò è controproducente. Gli strateghi repubblicani avevano intuito che Palin avrebbe fatto colpo sui piccoli centri urbani e sarebbe piaciuta agli elettori dei quartieri periferici e delle campagne. Dal canto loro, questi elettori sanno distinguere e disapprovano la scarsa considerazione dei liberal quando la percepiscono. Quanto più è grande la provocazione mediatica, tanto più allettante appare Palin. Nel combattimento politico corpo a corpo, l’impetuosità si ritorce contro i progressisti e si trasforma in una delle armi più potenti dell’arsenale repubblicano.
In sole due settimane, Palin ha fatto salire il tasso di gradimento di McCain presso le elettrici bianche, invertendo presso questa fascia dell’elettorato lo stacco di dieci punti che aveva Obama. Ha entusiasmato il partito, ha elettrizzato la base degli evangelici, che fino a poco tempo fa nutrivano soltanto una tiepida attrazione nei confronti della candidatura del senatore dell’Arizona. Con ogni probabilità colpisce ancor più il fatto che Palin ha altresì dato nuovo vigore alle parole di McCain, che esorta adesso a un cambiamento: dopo otto anni di governo repubblicano, in questo momento i repubblicani si propongono come i candidati del cambiamento!
L’adozione del mantra di Obama ha proiettato i democratici in avanti. Quanto sta accadendo a Obama ha quasi dello shakespeariano: adesso si trova in una posizione analoga a quella di Hillary Clinton, si sente in dirittura d’arrivo alla presidenza, crede di avere fatto abbastanza per meritarsela, e ciò nondimeno è costretto a osservare con sgomento che la sua poltrona è messa a rischio da un candidato relativamente sconosciuto ai più. A suo ulteriore detrimento c’è da considerare che attaccando Sarah Palin, Obama ha ravvivato l’attenzione mediatica di cui la governatrice è attualmente oggetto.
Nel frattempo, McCain si estranea alla mischia e sta vincendo la battaglia per la conquista del favore degli indipendenti. Come si evince da un sondaggio Gallup, la spinta verso l’alto ricevuta da McCain durante la convention repubblicana si spiega col fatto che gli indipendenti si sono spostati verso di lui in massa, passando dal 40 per cento di prima della convention al 52 per cento del dopo convention.
Perfino i recenti avvenimenti dell’economia statunitense paiono agire a sfavore dei democratici. La maggior parte dei politologi che analizzano i rapporti dell’odierna economia arriverebbe a concludere che da tutti gli indicatori possibili la vittoria dei democratici dovrebbe risultare agevole. Ma in soli tre mesi Obama ha visto precipitare e quasi svanire del tutto il vantaggio di cui godeva sui temi economici, essendo questo passato dai 17 punti percentuali di luglio agli 11 di agosto agli odierni miseri cinque.
Secondo il parere di alcuni – come Will Marshall, presidente del Progressive Policy Institute – questo forte calo riflette il fatto che la campagna di Obama ha completamente fallito nello spiegare chiaramente in che modo avrebbe mantenuto le promesse fatte. Il problema è esacerbato dalla determinazione con la quale McCain e Palin entrano invece nello specifico. Soltanto questa settimana in un articolo d’opinione a firma di entrambi pubblicato sul Wall Street Journal, il ticket repubblicano ha preso esplicitamente le distanze dall’attuale Amministrazione, ha ribadito il proprio intento riformista, e al contempo si è attribuito parte del merito dei più popolari aspetti del piano di recupero del Tesoro per salvare dal fallimento le finanziarie immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac in profonda crisi.
Tutto considerato, dunque, quella appena trascorsa non è stata la migliore delle settimane per Obama. Nel periodo antecedente alla loro convention i repubblicani erano riusciti con successo a presentare le prossime elezioni come una sorta di referendum sulla sua candidatura, tanto che Obama era diventato il presidente in carica da spodestare. Adesso, però, sono passati alla fase successiva, e si presentano come i rivoluzionari.
La vittoria alle elezioni è ancora alla portata di Obama. Ma egli dovrà immediatamente fermare la marea, concentrarsi affinché il suo messaggio sia recepito nei dettagli, lasciare che siano il suo compagno di ticket e i suoi più stretti collaboratori a occuparsi di attaccare. Obama dovrà illustrare nei particolari e con maggiore chiarezza le sue priorità, le sue politiche, i suoi progetti finanziari. Mark Penn, capo stratega di Bill e Hillary Clinton, di recente ha affermato che gli americani vogliono disperatamente sapere una cosa sola: come riassesterà l’economia. Ha affermato anche che quest’anno l’elettorato è più consapevole e meglio preparato e pertanto voterà sulla base di programmi e piani concreti, più che di valori e identità. Obama deve soltanto augurarsi che Penn abbia ragione, e darsi da fare per mostrarsi all’altezza della sfida”.