Art. 18: nel ’97 D’Alema non lo voleva più. Poi si piegò alla Cgil e da allora..

Art. 18: nel ’97 D’Alema non lo voleva più. Poi si piegò alla Cgil e da allora.. (foto LaPresse)

ROMA – Sinistra e articolo 18. Emilia Patta sul Sole 24 ore ricostruisce la complessa vicenda, che ha inizia nel 1997, quando Massimo D’Alema, degretario della prima mutazione del Pci, il Pds, disse:

“Vedete, la mobilità, la flessibilità, sono innanzitutto un dato della realtà. È il grande problema che si pone a noi, a noi sinistra e non soltanto a noi sindacati. È se questa società più aperta debba inesorabilmente portare con sé solitudine, insicurezza, angoscia. Oppure se non sia il caso che noi, rinnovando profondamente gli strumenti della negoziazione e della contrattazione sociale, costruiamo nuove e più flessibili reti di rappresentanza e di tutela. Se noi non ci mettiamo su questo terreno, noi rappresenteremo sempre di più soltanto un segmento del mondo del lavoro. Ecco, io penso che noi dovremmo preferire essere con quei lavoratori del lavoro nero, del lavoro precario, del sottosalario. E negoziare quel salario, e negoziare i loro diritti anziché stare fuori dalle fabbriche con in mano una copia del contratto nazionale di lavoro”.

È il febbraio del 1997, ricorda Emilia Patta:

“Parlando dal palco del congresso del Pds il segretario Massimo D’Alema si rivolge direttamente al leader della Cgil Sergio Cofferati definendolo «chiuso». La leggenda racconta che – sceso da quel palco – D’Alema si ritrova aggredito da Cofferati, tanto per fargli capire subito su che posizioni sia la Cgil e che tipo di forza è in grado di esercitare. L’inaudita sfida al sindacato rosso da parte del segretario del maggior partito della sinistra italiana rimane appesa a quelle parole.
Lo scontro non si concretizza in una vera conta all’interno del partito. Il congresso finisce come erano finiti tutti i congressi del Pds e come sarebbero finiti quelli dei Ds e del Pd in epoca pre-renziana: smussando, evitando lo scontro.

E D’Alema è riconfermato segretario con l’88% dei voti dei delegati.

Poco dopo, per D’Alema, arriva l’opportunità di cambiare da Palazzo Chigi. Siamo nel 1999. All’interno di alcune misure per la crescita dimensionale delle imprese il D’Alema premier – al ministero del Lavoro c’è Antonio Bassolino, coadiuvato dal giurista Massimo D’Antona – mette in campo l’ipotesi di consentire alle imprese con meno di 15 dipendenti di assumere altri lavoratori a tempo indeterminato con una moratoria di 3 anni dell’articolo 18.

La storia del tentativo di superare la reintegra inizia lì. Ed è un tentativo segnato subito dal niet di Cofferati – ricorda oggi Nicola Rossi, all’epoca consulente economico del premier –, niet che il leader della Cgil oppone anche all’ipotesi di accelerare il percorso di entrata in vigore della riforma Dini superando di fatto le pensioni di anzianità.
«Ma la sconfitta va datata prima, al 1997, a quella mancata resa dei conti al congresso del partito». La Cgil era troppo forte? Il partito troppo debole? «Vedere oggi le posizioni di alcuni big di allora sulla riforma del lavoro messa in campo dal governo – dice Rossi – mi conferma nella convinzione che in quella seconda metà degli anni 90 il riformismo è stato seguito a sinistra non per una vera convinzione ma quasi per necessità, seguendo l’onda. Non dimentichiamo che c’era Tony Blair».

Il secondo tentativo di superare l’articolo 18, questa volta tout – court, arriva nel 2001-2002 con il governo guidato da Silvio Berlusconi. Al ministero del Lavoro c’è Roberto Maroni, coadiuvato dal giuslavorista Marco Biagi. D’Antona, Biagi…

La storia del tentativo di riformare lo Statuto dei lavoratori è lastricata di sangue: D’Antona è assassinato dalla Nuove Brigate Rosse il 20 maggio 1999 a Roma, Biagi il 19 marzo 2002 a Bologna.

Il giorno dopo l’uccisione di Biagi il giuslavorista vicino al Pci-Pds-Ds Pietro Ichino, autore di Il mercato e il lavoro uscito nel 1996, viene messo sotto protezione, misura che dura tuttora. In quei giorni terribili, il 23 marzo del 2002, Cofferati porta in piazza tre milioni di persone troncando il discorso sull’articolo 18. E proprio lì, alla manifestazione del Circo Massimo, si suggella quella saldatura-sovrapposizione tra posizioni del sindacato e del partito attorno al totem dell’intoccabilità dell’articolo 18.
Sono passati 17 anni dalle parole riformiste e “ichiniane” di D’Alema, e 12 dalla manifestazione del Circo Massimo”.

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Emiliano Condò