Diaz tortura. Fini: “Qualcuno perse la testa”. In sala operativa non c’era anche lui?

Diaz tortura. Fini: “Qualcuno perse la testa”. Ma anche lui era in sala operativa

ROMA –Diaz tortura. Fini: “Qualcuno perse la testa”. In sala operativa non c’era anche lui? Prima la sentenza della Corte Europea (“alla scuola Diaz ci fu tortura da parte delle forze dell’ordine”). Quindi l’esternazione a titolo personale di Matteo Orfini (presidente del Pd) secondo cui l’ex capo della Polizia all’epoca dei fatti di Genova Gianni De Gennaro dovrebbe dimettersi dalla presidenza di Finmeccanica, e cioè che è una vergogna che non solo non sia stato punito ma anzi abbia fatto carriera.

La copertura politica del blitz alla Diaz. In mezzo le dichiarazioni di Gianfranco Fini che ha ammesso, nonostante una pallida difesa d’ufficio di carabinieri e polizia, che sì, quel giorno qualcuno tra agenti e funzionari perse la testa, lo stesso giorno in cui, da numero due del governo Berlusconi presidiava i locali della sala operativa.

Oggi che presiede la sua fondazione LiberaDestra le parole di Fini hanno finito per indignare giusto Il Manifesto (“Banditi d’Europa”), chi di quella pagina nera di storia patria non dimentica il coinvolgimento dei vertici del governo (Enrico Deaglio gli ha dedicato un documentario, “Fare un golpe e farla franca”) e l’antico avversario della svolta fallita finiana, il direttore di Giornale Alessandro Sallusti che, mentre accusa “i torturatori dei poliziotti” di Bruxelles, non risparmia “il livello politico che ovviamente si dileguò, a partire dall’allora vicepremier Gianfranco Fini presente sul posto per coordinare gli interventi”.

Oggi che il suo rilievo politico si è alleggerito al punto di sfiorare l’inconsistenza, Fini non ripete più (ottobre 2012, luglio 2013) che a Genova “rifarebbe tutto”. Oggi non esclude che qualcuno abbia perso la testa, lui era a Genova solo per “esprimere solidarietà” a poliziotti e  carabinieri attaccati. Forse un po’ si vergogna di aver offerto copertura politica alle iniziative degli agenti, ma allora la rivendicava. Anche perché è difficile immaginare funzionari esperti mettere in gioco carriera e reputazione senza un avallo, sia pure informale, del vertice della catena di comando, che è politico.

Il ruolo di Gianfranco Fini, allora Vicepresidente del consiglio, è solo uno di questi misteri, ma è forse quello che più testimonia i tentativi di soffocare nell’oblio e nella verità di stato una insopprimibile sete di giustizia. Fini avrebbe diretto le operazioni di polizia e lo avrebbe fatto anche nei tragici momenti in cui perse la vita Carlo Giuliani: questo documentò in particolare il direttore di Diario Enrico Deaglio, la cui ricostruzione venne rilanciata dall’allora sindaco di Genova Giuseppe Pericu, per sostenere la necessità di una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del G8. (Blog di Alessandro Somma, La Nuova Ferrara)

De Gennaro sì, De Gennaro no. A quasi 15 anni di distanza da quei famigerati 3 giorni di “macelleria sociale”, torna a tenere banco la mancata ricostruzione della catena di responsabilità, a tutti i livelli. La Corte europea ha condannato lo Stato italiano, non solo per l’inadeguatezza della risposta giudiziaria, ma soprattutto per l’inadempienza giuridica di non aver ancora introdotto il reato di tortura. Matteo Renzi, che si è sfilato dalla polemica rimanendo neutrale per esempio sull’uscita di Orfini, garantisce che la risposta politica migliore sarà data appunto dalla legge che introdurrà il reato di tortura anche in Italia.

La risposta è arrivata sul far della sera da Debora Serracchiani, voce ufficiale del mondo renziano: «Quella di Orfini è una posizione personale», ma la sentenza della corte europea «ci sollecita a cercare le responsabilità politiche di chi ha condotto quella dolorosa vicenda. Non parlo di dimissioni ma se siamo di fronte ad una responsabilità politica, se De Gennaro ne deve rispondere, lo valuterà in coscienza.

Le persone che ricoprono ruoli importanti della società devono tener conto delle proprie responsabilità morali, che prescindono dalle assoluzioni». Parole da leggere come una implicita richiesta a De Gennaro di farsi da parte. La sortita serale della vicesegretaria del Pd dimostra che l’esternazione di Orfini non era stata un fuor d’opera, ma invece l’avvio di una moral suasion. (Fabio Martini, La Stampa)

Del resto spingere verso una “rottamazione” estesa al di fuori del perimetro dei politici si scontra con la circostanza ineludibile che da Amato a Monti a Enrico Letta, gli sponsor istituzionali della carriera di De Gennaro superpoliziotto-prefetto-presidente di Finmeccanica non hanno mai potuto prescindere dal fondamentale supporto del Partito Democratico.

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Warsamé Dini Casali