
ROMA – Idroscalo di Ostia, dove Pasolini continua a morire ogni giorno… Che la figura di Pier Paolo Pasolini sia diventata un santino utile per una citazione a sproposito e a buon mercato per ogni argomento lo si può sperimentare ogni giorno all’Idroscalo d Ostia, lì dove è stato ucciso, lì dove un monumento fa da sentinella muta a quel dedalo di viuzze del quartiere abusivo cresciuto sulla vecchia baraccopoli appoggiata sulla foce del Tevere.
Ultima notizia il blitz della polizia per arrestare una decina di abusivi dell’elettricità che rubavano la corrente ai vicini. Non esattamente l’arresto di Totò Riina, ma perlomeno si può fare il punto su un’area che, dopo i grandi proclami e le demolizioni della giunta Alemanno del 2010 in vista di una riqualificazione in senso naturalistico e turistico-ricettivo di supporto al Porto d Ostia, è affondata nella solita palude romana degli appalti pilotati e delle inchieste sulle terre di mezzo.
Altro che Parco della Foce del Tevere. Un indizio: il maggior beneficiario della presunta riqualificazione sarebbe stato il Porto di Ostia, sul quale la magistratura nel 2015 ha posto i sigilli e ne ha messo agli arresti il presidente Mauro Balini.
Nel 2010 Alemanno ordinò gli sgomberi e l’abbattimento di 35 case. Nel frattempo, con l’arrivo di emigrati dall’est Europa e di extracomunitari la popolazione locale è salita a un migliaio di abitanti. L’amministrazione Alemanno si servì della Protezione Civile per cacciarli via: lo facevano per il loro bene, l’area è a rischio esondazione.
Toh, nemmeno i Romani se ne erano accorti, chissà perché avevano piazzato proprio su quelle sponde le infrastrutture del Porto di Ostia. E infatti le area a rischio sono a nord della Foce, chiuse e traverse scongiurano la possibilità che l’acqua fuoriesca dal suo corso naturale, piuttosto sono i lavori del nuovo Porto che minacciano la sicurezza.
Dovremmo meditare sulla denuncia di Andrea Schiavone (presidente delle associazioni locali LabUr e Severiana, coordinatore del Comitato Civico 2013 ed esperto in archeologia, urbanistica e in diritto amministrativo).
Dietro all’intervento di demolizione del passato e l’incuria del presente, invece, ci sarebbe lo spettro della speculazione edilizia. “Qualcuno vuole strumentalizzare il degrado, creato ad arte, per liberare l’area e renderla un’area a servizio del retrostante porto. Una parte della zona, infatti, può avere destinazione residenziale: potrebbe sorgere un centro sportivo, un villaggio naturalistico con tanto di accoglienza ricettiva, cantieri nautici e yacht club e via dicendo”. (Giacomo Andreoli, Il Corriere della Città)
Sulla pelle dei soliti che comunque pagano luce, tassa su servizi e rifiuti, ma sono evidentemente troppo “brutti, sporchi e cattivi” per meritare le stesse sanatorie delle altre periferie romane mentre aspettano da 40 anni il cosiddetto piano zona per la costruzione di case popolari nel frattempo occultato nei meandri degli uffici di Roma Capitale.