ROMA – Mentre ci sono miliardi di persone nel mondo che muoio, per fame o per guerra, tante popolazioni che soffrono, il Papa mette da parte la carità cristiana e si occupa di questioni “di lana caprina”: ha deciso di cambiare la formula che il prete recita durante l’Eucarestia riportandola a com’era prima del Concilio Vaticano II del 1969. Finora i preti alzano il calice del vino e dicono: “Questo è il mio sangue… versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”, ora si passa alla formula “Versato per voi e per molti”. Il che apre, non solo in Vaticano, un lungo dibattito sul perché Ratzinger abbia voluto inviare un messaggio di “esclusione”, come a rimarcare che la salvezza non sarà per tutti, non per quelli che vivono fuori dalla religione.
Il Papa nega che la motivazione della scelta sia questa e dice invece che si tratta di un voler semplicemente recuperare l’etimologia esatta del precetto evangelico. D’altronde i precetti di Gesù e degli apostoli ci vengono tramandati attraverso tre traduzioni: dall’aramaico, al greco, al latino. Ed è così che spesso alcuni termini arrivano a noi un po’ artefatti. E’ il caso di questo passaggio della Messa: nei Vangeli infatti non si legge “per tutti” ma “per molti”. Nel vangelo più antico, Marco (14,24) si legge upèr pollôn, in quello di Matteo (26,28) c’ è scritto un analogo perì pollôn, insomma il “per molti” è la traduzione letterale dal testo di prima traduzione, in greco.
L’ espressione “per tutti” venne introdotta dopo il Concilio con la riforma di Paolo VI, nel 1969, perché il messale latino aveva “pro multis”. Adesso Ratzinger decide di tornare indietro per recuperare la forma originale, senza intoppi di traduzioni. Ma è un messaggio un po’ rigido e perché no bigotto a chi non crede? Della serie: Dio vi salverà, ma non tutti, solo chi ha fede… Se non fosse così e il Papa vuole veramente riscoprire il vero significato e l’etimologia dei termini, perché non svelare e risolvere anche altri falsi (linguistici) storici? Come ad esempio il detto: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei Cieli”, quel “cammello” è un errore di traduzione dall’aramaico a noi. Infatti “camel” in aramaico significava fune, corda e non certo cammello. Ma ancora oggi quest’errore di traduzione ci ha consegnato un detto “distorto”. Perché allora il Papa non si occupa anche di questo?