
ROMA – Pasolini delitto, la Camera indaga: Commissione e… gettone. Una commissione monocamerale (solo 20 deputati) che lavorerà per 18 mesi per consegnare a Montecitorio una credibile ricostruzione del perché, come e da chi (e su ordine di chi) fu ucciso, nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia, Pier Paolo Pasolini. Dopo che la magistratura ha, per l’ennesima volta, gettato la spugna pochi mesi fa archiviando una importante inchiesta, ora ci prova la politica con il suo peculiare strumento di indagine.
L’impegno è alto, importante. Ed è stato illustrato dalla relatrice dell’atto parlamentare (non una legge, quindi) Celeste Costantino (SI) in commissione Affari costituzionali. La proposta base (Pellegrino-Bolognesi) indica per la commissione i seguenti compiti: individuare il movente e gli esecutori dell’omicidio, attraverso l’analisi della dinamica del delitto; valutare le possibili connessioni con altri eventi, quali la morte del presidente dell’ENI, Enrico Mattei, nel 1962 e del giornalista Mauro De Mauro nel 1970…
Oggetto e strumento dell’iniziativa meritano un’approfondita valutazione, purtroppo riducibile a un vecchio detto che circola in Transatlantico (serve una commissione d’inchiesta bicamerale per accertarne la fondatezza?): quando si vuole insabbiare un caso, si fa una bella commissione d’inchiesta.
Audizioni, consulenze, relazioni, controdeduzioni, polemiche, grandi vecchi, piccole carriere, prime pagine, passerelle, gettoni di presenza… Quindi, di nuovo il silenzio, ma con la soddisfazione di un intervallo di edificante e civica mobilitazione parlamentare senza che alcunché si approssimi alla maiuscola verità che ostinata resiste nel suo bozzolo di chimera.
Quanto a Pasolini, retrospettivamente equiparato a un Saviano anni ’70, rimarrà l’autore più citato e meno letto, più idolatrato e meno compreso, un santino, un’icona pop. Quando un letterato serio come Marco Belpoliti invitò critica e aficionados a finalmente seppellire il cadavere del poeta (“Il corpo insepolto di Pasolini”, 2010) fu additato tra i negazionisti, quelli cioè (dal biografo e cugino Naldini in giù) che, pur riconoscendo le falle delle verità acquisite, stentano a vedere complotti e manovre politiche segrete per giustificare il delitto, circoscrivendolo piuttosto al contesto omosessuale.
La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua omosessualità, la sua attrazione non per il mondo gay – parola che il poeta rifiutava, come si evince da due saggi compresi in Scritti corsari –, ma per i ragazzi eterosessuali, per qualcosa che oggi si chiamerebbe pederastia, su cui con la sua solita intelligenza e ironia Alberto Arbasino si è più volte soffermato. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo, nel senso evangelico della parola: pietra d’inciampo.
L’omosessualità rimossa di Pasolini è trattata come una sorta di vizietto, un elemento su cui sorvolare, mentre costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l’elemento estetico su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi. Le lucciole, scomparse per via dell’inquinamento di fiumi e rogge non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo denunciata da Pasolini, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all’incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi. (Marco Belpoliti, “Il corpo insepolto di Pasolini”)