ROMA – Lo Stato ha tradito i pensionati. Uno di loro, Rolando Sartori, 80 anni da Follonica (Grosseto), ha avuto più coraggio degli altri. Ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per esprimere il suo rammarico. Prima di scrivere, ha restituito il certificato elettorale, suo e della moglie. Non voterà, ha annunciato, perché non si può partecipare alle elezioni di uno Stato che vede i pensionati come un carico fastidioso se non come pecore da tosare.
L’odio verso i pensionati è storico. Il primo a tosarli fu il ministro di Berlusconi Giulio Tremonti. Né lui nè il suo primo ministro hanno problemi di soldi né ne avranno nelle prossime 7 vite. Poi è venuto Mario Monti e giù con la mannaia. Enrico Letta ci ha messo del suo fino a quando Matteo Renzi, partito che sembrava volesse abolire pensioni e pensionati, si è reso conto che costoro votano e ha dato il contrordine. Probabilmente troppo tardi per conservarne il consenso.
La vicenda di Rolando Sartori è esemplare dell’ultima repubblica socialista rimasta sulla terra. Non lo è certo la Cina come lo è l’Italia e nemmeno più le isole Seychelles o la Cambogia o il Vietnam. Ex operaio dell’Italsider, ha una buona pensione, 2 mila euro lordi. Tanto da includerlo fra i pensionati d’oro. tanto da fare perdere a lui e alla moglie, entrambi invalidi, ogni beneficio. Per precisione va aggiunto che Sartori riceve altri 500 euro mensili di accompagnamento “dai quali lo Stato trattiene il costo dell’ospedalità”.
La lettera è stata pubblicata dal circuito Resto del Carlino, Nazione, Giorno.
Scrive Sartori:
“Come milioni di altri italiani, non ne posso più davvero: ho 80 (ottanta) anni, sono un grande invalido del lavoro ed invalido civile al 100%, senza, per quest’ultimo, percepire un ‘picciolo’ o uno dei tanti ‘bonus’ perché 1.300 euro di pensione (sulla quale pago 700 euro di IRPEF) debbono bastare a me e mia moglie. Fino al cancello del cimitero andrò in carrozzella a rotelle finché gravi patologie cardiovascolari e una grave insufficienza renale cronica di grado 5° (dialisi o trapianto) me lo consentiranno.
“Vivo con mia moglie (78), invalida civile e portatrice di handicap, pur non percependo, anche lei, per questo, emolumento alcuno per la pensione di 1.300 euro di pensione, che lo Stato considera da… scialo e che dovrebbe bastarci per vivere, curarci, pagare tickets e tributi.
“Nessun ‘bonus’, nessun aiuto economico o controversa assistenza pubblica regolata da un Isee che mi vuol ricco per forza per quei 1.300 euro ed altri500 di accompagnamento dai quali lo Stato trattiene mensilmente il costo dell’ospedalità.Nessun aiuto pubblico per un terapeuta, per una giornata d’una badante che, per questo Stato dovrei pagare tutto con quei maledetti l.300 euro, frutto di contributi veri, versati e guadagnati con il sudore, col sangue e con la salute.
“E, fatto ancor più vergognoso, non poter sostituire una sedia a rotelle non più idonea all’ingravescenza delle mie patologie, se non fra… otto anni, per ciniche quanto farraginose regole accampate da un fisiatra del Servizio Pubblico. «Se la comperi da sé, altrimenti ripassi alla scadenza, fra otto anni».
“Non mi aspettavo tanto dal mio Paese che ho amato e, nel mio piccolo, assieme a milioni di altri pensionati ed invalidi del lavoro, ho contribuito a farlo crescere e che, come contropartita, ci ignora e neppur pensa a proteggerci nell’umile welfare familiare, portato avanti con sofferta condizione nelle nostre case di povera gente costruite con lo strozzinaggio dei mutui, pagate col sangue, senza l’aiuto di nessuno e che, per questo, il mio Paese dovrebbe tutelare.
“Se non altro dopo aver lavorato, come milioni di altri compagni giorno e notte, col caldo e col freddo, a molare, io, le rotaie all’Italsider, per anni e anni. E come gli altri senza frignare, come accade oggi, per i turni del sabato, della domenica e delle feste comandate che, allora, il lavoro, il biblico sudore della fronte, il sangue, il sacrificio e le notti insonni davanti ai forni erano la nostra laica preghiera in una meravigliosa cattedrale del ferro e del fuoco che, oggi, non c’è più, sconsacrata dai politici.
“Rispondendo al Suo invito, Signor Presidente, di andare a votare, avrei voluto rispondere «obbedisco» come a Garibaldi, avvenne, nonostante il suo essere repubblicano, che la monarchia avrebbe, comunque, realizzato l’unità d’Italia. Purtroppo – come milioni di altri pensionati, invalidi del lavoro, vecchi operai, vedove d’invalidi – non abbiamo davanti nessuna certezza, ma ci sentiamo traditi, maltrattati e umiliati da questo Stato che ha addinttura tentato l’ennesimo attacco alle nostre pensioni cercando di tassare (mi perdoni se definisco, solo l’atto, odioso) gli assegni di accompagnamento (una miseria di appena 500 euro) dalla quale ci trattengono le spese ospedaliere nell’eventualità di un ricovero, nonché le rendite d’invalidità INAIL di chi ha lasciato sul lavoro la salute, parti del suo corpo o addirittura, la vita”.
“Tentativi che sono riusciti a respingere con la forza e la determinazione di vecchi operai. Per questo, Signor Presidente, ritorno allo Stato, Suo tramite, i certificati elettorali mio e di mia moglie, significando la nostra volontà di non votare e di non dare deleghe a chi vuol continuare a prenderci in giro, ad ingannarci (tutti con inattuabili promesse) ad umiliarci e maltrattarci. Basta, umilmente, basta”.
Sartori non è un seguace dell’antipolitica. La sua storia politica si è svolta sotto le insegne della Democrazia cristiana. È stato “Consigliere Comunale al Comune diFollonica, fondatore e dirigente dei GIP (Gruppi d’Impegno Politico degli operai democristiani) […] poi nel Movimento Cristiano Lavoratori e nella CISL dove fui, per anni, dirigente della Federazione dei Metalmeccanici di Livorno e delegato di reparto (era formato da operai quasi tutti comunisti) dell’Italsider di Piombino”.